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ROSARIO DIANA
però passare dal piano esclusivamente linguistico a quello delle idee e
quindi a quello della realtà. Lo fa aforisticamente, dichiarando che «co­
me le parole sono simboli e note delle idee, così le idee sono simboli e
note delle cose»70. In tal modo è fondata e garantita la saldatura di
lògos
ed essere, in virtù della quale ciò che la
ri-costruzione
mostra come vi­
gente nel linguaggio, trova riscontro nel pensiero ed ha una validità og­
gettiva per quel mondo di cose esterno ma connesso ad entrambi.
La questione della conoscibilità o inconoscibilità di una determinata
classe di oggetti si decide - l’abbiamo appena visto - domandandosi se
la loro origine cada o meno entro l ’orizzonte del
facere
proprio del sog­
getto che deve realizzare la conoscenza. Se in base a tale impostazione
teorica guardiamo a quest’ultimo, dobbiamo distinguere due diversi -
seppur con evidenti e profonde affinità - soggetti conoscenti in quanto
creatori: Dio e l ’uomo.
Sulla base di quanto abbiamo sommariamente illustrato, non desta
meraviglia che Vico veda in Dio, in quanto «primus Factor», il «primum
verum»: «codesto primo vero [ ...] è compiutissimo, poiché rappresen­
ta a Dio, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci ed intrinseci delle
cose»71, di tutte le cose; perciò in Dio non può esservi nulla di incono­
sciuto o di inconoscibile, perché nulla di ciò che esiste può trovare la
propria ragione d’essere al di fuori della divinità stessa. Anche la cono­
scenza che l ’ente divino ha di sé è resa possibile da quella strutturale au-
toreferenzialità in virtù della quale esso - unico fra gli enti, e per questo
supremo e creatore - ritrova in se stesso il proprio fondamento: il Ver­
bo, sapere infinito di tutti gli infiniti mondi possibili fra i quali la divi­
nità è libera di scegliere quello che effettivamente creerà, è generato da
Dio medesimo, e per esso il
verum
corrisponde al
genitum
, non al
fac­
tum.
Di fronte a Dio sta il mondo, cristianamente «ex nihilo creatum in
tempore» al quale si applica l ’analogo principio consistente nell’affer-
mata traducibilità reciproca di «verum creatum» e «factum»72. Nella d i­
70
Ibid..,
p. 62 («uti verba idearum, ita ideae symbola et notae sunt rerum»,
ibid.,
p. 63).
Qui risuona la dottrina platonica secondo cui il nome rende in sillabe l’essenza (idea) della
cosa cui si riferisce (cfr.
Cratilo,
390a, 393d).
71
De ant.,
pp. 62/63.
72 «Nella nostra religione, per la quale professiamo che il mondo fu creato nel tempo dal
nulla, occorre una distinzione: il vero creato si converte col fatto, il vero increato col genera­
to [...]. Esiste un verbo reale esattissimo, che, essendo conosciuto dal Padre sin dall’eternità,
dall’eternità è altresì generato da lui (in nostra religione, qua profitemur mundum ex nihilo
creatum in tempore, res haec opus habet distinctione, quod verum creatum convertatur cum
facto, verum increatum cum genito [...]; exactissimum reale verbum existit, quod, cum ab ae­
terno cognoscatur a Patre, ab aeterno item ab eodem genitum est)»
(ibid.,
pp. 64/65).
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