RAGIONE NARRATIVA ED ELABORAZIONE DIALOGICA DEL SAPERE
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vinità conoscenza di sé (
verum-genitum
) e conoscenza del mondo
(ve­
rum-factum)
si realizzano con la più solare trasparenza, dal momento che
non è possibile concepire un altro essere, oltre a quello supremo, capa­
ce di darsi come ragione compiuta di se stesso e, in quanto suo creato­
re, dell’intera realtà.
Ben diversa - se confrontata con quella divina - è la condizione gno­
seologica dell’uomo. Collocato in un mondo che in gran parte gli è opa­
co perché non è «fatto» da lui, l ’uomo consegue la trasparenza cono­
scitiva omologa a quella vigente nel conoscere divino ed estesa alla to­
talità oggettuale del conoscere divino nelle matematiche, che «sono le
uniche scienze che inducono il vero umano, perché [ ...]
l’uomo conte­
nendo dentro di sé un immaginato mondo di linee e di numeri
,
opera
tal­
mente in quello con l ’astrazione,
come Iddio nell’universo con la
realtà
» 73. Ristretto il campo del vero conoscere alla sola sfera delle
scienze matematiche - risultato di una pura costruzione intellettuale e
perciò oggetto di verità - , l ’uomo non ha certo un accesso più agevole
alla conoscenza di sé: la mente, infatti, «quando si conosce, non si fa;
e poiché non si fa, non conosce il genere o modo del suo conoscersi»74.
Ed è a questo punto che Vico muove la sua radicale critica a Cartesio.
«L’uomo [ ...] - scrive il filosofo napoletano, riassumendo sommaria­
mente il ragionamento sotteso al
cogito -
può dubitare se senta, se vi­
va, se sia esteso, e infine, in senso assoluto, se sia [ ...] . Ma è assoluta-
mente impossibile che non sia conscio di pensare, e che da tale co­
scienza non concluda con certezza che egli è »75. Ma, appunto, è di
co­
scienza
che si tratta, non di
scienza
; la «certezza di pensare - si legge
nello scritto vichiano che stiamo analizzando - è coscienza, non scien­
za», è «una cognizione comune accessibile ad un qualsiasi ignorante»,
73 G.
VICO,
Risposta delSignor Giambattista di Vico nella quale si sciolgono tre opposizio­
nifatte da dotto Signore contro il primo libro ‘De antiquissima italorum sapientia’ ovvero me­
tafisica degli antichissimi italiani tratta da’ latini parlari
(1711), in Id.,
Opere filosofiche
, cit.
(d’ora in poi
Risp. I),
p. 135 (corsivi miei). Circa vent’anni dopo Vico ritornerà sulle recipro­
che affinità fra l’operare umano e quello divino, scrivendo che «il geometra in quel suo mon­
do di figure è, per così dire, un dio, così come Dio onnipotente in questo nostro mondo di
anime e di corpi è, per così dire, un geometra (geometra in ilio suo figuram mundo est qui­
dam deus, uti Deus opt. max. in hoc mundo animorum et corporum est quidam geometra)»
(Vici vindiciae,
cit., pp. 60/61). Sul conoscere divino ed umano in relazione al criterio del
ve-
rum-factum
cfr. A.
CORSANO,
Giambattista Vico
, Bari, 1956, pp. 106 sgg.
74
De ant.,
p. 68 («se mens cognoscit, non facit, et quia non facit, nescit genus seu mo­
dum, quo se cognoscit»,
ibid.,
p. 69).
75
Ibid.,
p. 70 («Homo in dubium revocare potest, an sentiat, an vivat, an sit extensus, an
denique omnino sit [... ]. Sed nullo sane pacto quis potest non esse conscius quod cogitet, et
ex cogitandi conscientia colligere certo, quod sit»,
ibid.,
p. 71).
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