RAGIONE NARRATIVA ED ELABORAZIONE DIALOGICA DEL SAPERE
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ditazione da parte di un così grande filosofo. Infatti
avere scienza
signi
fica possedere, il genere, o forma, del farsi della cosa; invece
l’avere co
scienza
si riferisce a quelle cose di cui non possiamo dimostrare il gene
re o forma»77. Ciò detto, Vico può concludere altrove che, se «quel
co
gito
è segno indubbitato del mio essere», non è però «cagion del mio es
sere» e pertanto «non m’induce scienza dell’essere»78.
Risulta adesso chiara la contrapposizione gnoseologico-metafisica fra
Dio ed uomo. Al primo, in quanto creatore di ogni cosa, appartiene 1
’intel-
ligere,
ovvero il «leggere perfettamente», il «conoscere apertamente»79 se
stesso ed ogni cosa; alla mente umana, invece - «in quanto limitata e in quan
to sono fuori di essa tutte le altre cose che non siano essa stessa» - , rimane
la mera possibilità di «accozzare gli elementi estremi della cose, senza mai
collegarli tutti»80, ossia quella funzione intellettuale che l’autore del
De an
tiquissima
denomina
cogitare
e che, come tale, trova la sua duplice applica
zione nella mera autocoscienza, precipitato residuale di un’interdetta cono
scenza di sé in bella mostra, secondo Vico, nel
cogito
cartesiano, e nel fram
mentario, sempre difettivo sapere di un mondo esterno al soggetto cono
scente ed estraneo al suo
facere.
In quel ristretto spazio di manovra gnoseo
logica che non cade sotto i rigori della doppia negazione - della scienza di
sé e della scienza del mondo - si staglia la conoscenza matematica, l’unico
ambito in cui all’uomo è concesso emulare Dio e, se così si può dire, tra
sformare il proprio
cogitare
in
intelligere.
meriti filosofici di Cartesio riducendo il
cogito
ad una ‘coscienza’ dell’esistere così ovvia, da po
tersi presumere persino nello schiavo di Anfitrione, archetipo dell’uomo semplice ed incolto
(la diversità del
cogito
plautino, che approda all’«identità personale», da quello cartesiano, il
cui punto d’arrivo è «una verità indubitabile», è stata rilevata di sfuggita anche in L.
AMORO
SO,
Vico, Cartesio e l’autobiografia
, in Id.,
Nastri vichiani,
Pisa, 1997, p. 41. Nulla di nuovo in
vece aggiungono al tema le scarne notazioni in D. Ph.
V
erene
,
Lafilosofia e il ritorno alla co
noscenza di sé,
tr. it. Napoli, 2003, pp. 15-16). È appena il caso di notare qui come per Vico -
in linea con quanto si è venuto via via osservando - non solo la costruzione ma anche la criti
ca del sapere sia sempre mediata attraverso il rapporto storico con l’Altro. Il
cogito
cartesiano,
infatti, viene degradato da raffinato prodotto della ‘scienza’ filosofica a possesso scontato del
la ‘coscienza’ ingenua con lo stesso procedimento utilizzato per ricostruire l’antichissima sa
pienza degli italici: l’indagine storico-filosofica, non immune da manipolazioni - come si è vi
sto -, in questo caso condotta prevalentemente sui testi plautini usati come fonti.
77
De ant.,
p. 72 («certitudinem, quod cogitet, conscientiam contendit esse, non scien
tiam, et vulgarem cognitionem, quae in indoctum quemvis cadat [...]; non rarum verum et
exquisitum, quod tanta maximi philosophi meditatione egeat ut inveniatur. Scire enim est te
nere genus seu formam, quo res fiat: conscientia autem est eorum, quorum genus seu formam
demonstrare non possumus»,
ibid.,
p. 73).
78
Risp. I,
p. 135.
79
De ant.,
p. 62 («‘perfecte legere’ ‘aperte cognoscere’»,
ibid.,
p. 63).
80
Ibid.,
p. 62 («quia terminata est, et extra res ceteras omnes, quae ipsa non sunt», «re
rum duntaxat extrema coactum eat, nunquam omnia colligat»,
ibid.,
p. 63).