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ROSARIO DIANA
Il conoscere di Dio - in tutte le sue forme e per ogni singolo ogget­
to - e quello dell’uomo - per ora soltanto nelle matematiche, poi anche
nella storia - corrispondono, dunque, al canone del
verum-factum
, cri­
terio di verità che informa di sé l ’epistemologia poietica vichiana, fon­
data sulla preferenza accordata alle virtù fattive su quelle puramente
contemplative. A differenza dello studioso della natura, che brancola in
un mondo di oggetti impenetrabili alla propria indagine, in quanto essi
sono
dati
a lui, il matematico corre sicuro nel suo cosmo di numeri e li­
nee, perché questi non gli giungono dall’esterno, non sono
dati
a lui ma
fatti
da lui. Questo è un punto sul quale è ancora necessario soffermar­
si. Dietro il
dato
naturale l ’indagatore trova Dio, che quel
dato
ha crea­
to e può averne perciò quella piena conoscenza che a lui è negata; die­
tro il
fatto
aritmogeometrico il matematico incontra l ’uomo, che lo co­
struisce e che proprio per questo può conoscerlo, al pari di Dio, senza
residui di oscurità inviolabili. Se
Vesser dati
da Dio e
Vesserfatti
dall’uo­
mo sono i caratteri ontologici rispettivamente degli oggetti naturali e di
quelli matematici; se, inoltre, solo questi ultimi sono conoscibili per l ’uo­
mo, e lo sono proprio in quanto costruzioni razionali del soggetto stesso
che li conosce, allora la matematica - pur con le sue «astrazioni» e le sue
«finzioni»81- , non può non qualificarsi come la più umana delle scienze82.
Il
verum-factum
non è solo il principio generale che consente la fonda­
zione gnoseologica della matematica; esso è anche alla base di quella epi­
stemologia poietica sul cui terreno soltanto è possibile isolare e distingue­
re nel complesso delle scienze l’aritmetica e la geometria, riconoscendo ad
esse il massimo del rigore connesso al loro totale radicamento nella di­
mensione dell’umano. Distinta dalla
datità
, connotato essenziale dell’og­
getto della conoscenza naturale, la
fatticità,
modo d’essere con cui l’ogget­
to si consegna al sapere matematico che lo costruisce83, rimanda immedia-
81 Com’è noto, la matematica per Vico non è, come in Galileo, «la scrittura stessa in cui
è tracciato il libro della natura»
(M
on do lfo
,
op. cit.,
p. 45), ma è, per dirla con Croce, un sa­
pere «popolato di astrazioni e finzioni»; ragion per cui - conclude il filosofo dello storicismo
assoluto - la divinità attribuita all’uomo, per l’asserita analogia fra il suo creare in questo am­
bito e quello di Dio nel mondo, può considerarsi una «divinità da burla» (cfr. B.
C
roce
,
La
filosofia di Giambattista Vico,
cit., p. 20).
82 «Le scienze umane - scrive Vico polemizzando con l’anonimo estensore delle recen­
sioni critiche al
De antiquissima
pubblicate sul
Giornale de’ letterati d’Italia
(1711-1712) - so­
no unicamente le matematiche» (
Risp. Il,
p. 258).
83 Ancora in polemica con il criterio cartesiano della chiarezza e distinzione, Vico trova il mo­
do per chiarire ulteriormente il proprio pensiero: «Volete insegnarmi una verità scientifica? as­
segnatemi la cagione che tutta si contenga dentro di me, sì che io mi intenda a mio modo un no­
me, mi stabilisca un assioma del rapporto che io faccia di due o più idee di cose astratte, e in con­
seguenza dentro di me contenute; partiamoci da un finto indivisibile, fermiamoci in uno imma-
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