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ROSARIO DIANA
co di Euclide, considerato un punto di partenza imprescindibile per l’ela­
borazione teorica90.
Nel
factum
non si dice soltanto che è vero ciò che l’uomo
fa
in quanto
egli ne è l’artefice91, ma anche - fra le righe - che ‘ciò che l’uomo
fa ’
divie­
ne
fatto, avvenimento
, verità incontrovertibile come può esserlo solo l’ac-
cadimento, in quanto effettivamente, storicamente accaduto92. La storia
della disciplina i cui contenuti l’uomo
fa
- la matematica, nel
De antiquis­
sima -
è l’insieme di tutti i prodotti ideali che gli studiosi hanno saputo crea­
re in questo ambito ristretto e nel lungo corso del tempo; è un patrimonio
acquisito con cui ogni nuovo matematico deve confrontarsi per potersi im-
padronire di un linguaggio, di un metodo: è il Vico del
De antiquissima
a
lasciarlo intendere e sarà quello delle
Vici vindiciae
a rimarcarlo93.
Tuttavia quello che qui interessa sottolineare, a proposito della sua
formulazione nel
De antiquissima
, è la natura ancipite del
factum
che si
fa
verum
: criterio gnoseologico e nucleo generatore di un’epistemologia
poietica, da un lato; carattere proprio del conoscere-fare matematico,
la fisica e dell’arte medica? [Quid certae morborum observationes eorumque diarii et certa
pharmaca excogitata, quae vulgo specifica remedia vocant? nonne sunt physucae artisque me­
dicae commentarii?]»
(Or. VI,
pp. 200/201).
90 Cfr.
Vici vindiciae,
cit., pp. 60/61.
91 Si allude qui a quanto Vico scrive nella
Prima risposta
alla recensione del
Giornale de’ let­
teratid’Italia.
Dopo aver citato due luoghi dall
'Eunuco
e dal
Tormentatordise stesso
di Terenzio,
quali fonti documentarie utili ad attestare l’identità di significato presso i latini dei termini
verum
e
factum,
Vico, temendo che i passi riportati possano offrire all’anonimo recensore il pretesto per
un ulteriore attacco, basato sulla identificazione di
vero
ed
avvenuto
anziché di
vero
e
fatto,
ag­
giunge - senza rinnegare assolutamente i testi già esibiti - un altro brano, questa volta tratto dal­
lo
Pseudolus
di Plauto. Così il filosofo napoletano giustifica la nuova citazione: «Ma, perché po-
trebbesi qui dire che ne’ rapportati luoghi si ragiona di fatti, dove ben può stare '
factum
’ per quel­
lo che noi dicemo ‘egli è succeduto’, ‘avvenuto’, o altro simigliante, arrechiam luogo de’ molti,
dove si favella di cose, e
‘factum'
non può altrimente prendersi che per
'verum'» (Risp. II,
p. 204).
Sulla base di quanto si legge in questa pagina vichiana, è lecito concludere con Mondolfo che l’i­
dentità di
verum
e
factum
non vuole significare altro che «la coincidenza fra una realtà... (sia di
fatti,
come in Terenzio, sia di
cose,
come in Plauto)» e lo statuto di verità ad essa conferita dalla
sua genesi nell’azione creatrice del soggetto
(MONDOLFO,
op. cit.,
p. 17).
92 «Indifferentemente essi [i latini] dicevano
fatum
o
factum -
scrive Vico in un passag­
gio tanto più eloquente quanto più sforzata appare la connessione etimologica stabilita fra i
due termini -, perché pensavano che il fato fosse inesorabile, dato che
le cosefatte non pos­
sono non essere avvenute
(fatum idem ac factum: et ideo fatum putarunt inexorabile, quia fac­
ta infecta esse non possunt)»
(De ant.,
pp. 128/129 - secondi corsivi miei). Per un esame del­
la stratificazione semantica del termine
factum
cfr. N.
BADALONI,
Introduzione
a G. Vico,
Ope­
refilosofiche,
cit., p. XXVII.
93 Cfr.
supra,
nota 90. Una volta interpretato il
factum
anche come ‘fatto’ storico, si può
qui applicare, trasponendolo concettualmente in questo contesto, quanto già Badaloni rile­
vava più di quarant’anni fa, e cioè che «è implicito [...] nel principio del
verum-factum
una
polemica coll’assoluto dominio della
mens»,
così come lo concepisce Cartesio, poiché «la men­
te deve fare i conti col
factum»,
ossia con la storia. Anche da questo punto di vista «l’univer-
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