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ROSARIO DIANA
luce - , è altresì dotato da Dio di
espressiva favella,
colla quale,
pel cor
po,
e
giovandosi di quel corpo medesimo, che, per esserfinito, tiene gli uo
mini appartati e divisi,
egli giunge ad
accomunare i concetti della verità
e della ragione»104.
Al linguaggio, come quel mezzo nel quale corpo e mente convergo
no al fine di garantire e favorire la reciproca trasmissione del sapere, si
affianca un altro
medium
corporeo non destinato, però, a trasmettere
«concetti» e «verità», ma deputato invece a rendere possibile la manife
stazione esteriore degli stati dell’animo: si tratta dell’espressione mimi
ca localizzata nel volto. Fra i due
media
c’è tuttavia una differenza so
stanziale, dal momento che nel linguaggio le due sfere, quella della ra
gione e quella delle affezioni, si connettono nel comune perseguimento
di uno scopo, mentre, al contrario, la mimica facciale si muove entro un
orizzonte puramente corporeo; e ciò sia se guardiamo al mezzo espres
sivo utilizzato (il volto, dunque il corpo) sia se concentriamo la nostra at
tenzione sul contenuto veicolato (l’affetto individuale, il patico, con la
sua specifica ed irripetibile unicità, conseguenza del suo radicamento
nella componente corporea dell’essere umano). «Tale è la
forma data al
l’uomo da Dio -
scrive Vico con affermazioni dense di implicazioni on
tologiche - , che gli affetti dell’animo nel volto gli si manifestano, mo
strandosi or lieto, or mesto, ora di un’altra maniera»105.
Ma il volto non è solo personalizzata e proteiforme superficie mate
rica docile a modellarsi per corrispondere adeguatamente all’emozione
o al sentimento momentaneo, è anche, e soprattutto, la manifestazione
esteriore più o meno chiaramente riconoscibile di un moto interiore del
l ’animo, è il
medium
attraverso cui il patico trova la sua oggettivazione
sensibile, guadagnando con quest’ultima anche la propria comunicabi
lità. Grazie al volto, gli stati d’animo diventano non soltanto comuni
cabili, ma anche condivisibili: tristezza, gioia, simpatia, rabbia ecc., leg
gibili nel volto di chi le prova, investono la predisposizione empatica
dell’Altro, che può a sua volta modulare i tratti del viso in maniera
espressivamente congruente con quelli del proprio interlocutore. Non
per vuoto desiderio di compiacere o per prudente spirito di dissimula
zione, ma spinto da un’insopprimibile tendenza a ‘compatire’ - nel sen
so etimologico del ‘patire insieme’ - , retaggio di un’essenza comunica
104
De uno
, p. 58 - corsivi miei («Praeterea homo, quem vidimus per communes veri ae
terni notiones cum ceteris hominibus communicare, a Deo vi fundendi sermonis preditus est,
quo per corpus, et ipsius ope corporis, quod finitum homines dividit, possit cum aliis ratio
nem et verum comunicare»,
ibid
., p. 59).
105
Ivi -
corsivo mio («homo ita est a Deo fabricatus, ut intemos animi affectus vultu lae
to, maesto aliove significet», - versione lievemente modificata).