RAGIONE NARRATIVA ED ELABORAZIONE DIALOGICA DEL SAPERE
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tiva e compartecipativa che lo costituisce e che rifugge dal solipsismo
logico come da quello patico, l ’uomo è «condotto a conformare il pro­
prio aspetto a quello di coloro, che seco lui conversano, arridendo ai ri­
denti, e dogliendosi cogli afflitti»106. Dunque, anche considerato dal
punto di vista del corpo, l ’essere umano è già sempre in rapporto con
l ’Altro; ne condivide le esperienze affettive e divide vicendevolmente
con i suoi simili i beni materiali necessari al mantenimento del corpo; e
questa sua natura relazionale trova il suo ontologico consolidamento
nella promozione del volto - tramite della mutua partecipazione affet­
tiva - a carattere proprio dell’uomo che lo distingue dagli animali. Per­
tanto «non solo per la ragione e per la loquela l ’uomo dai bruti differi­
sce, ma eziandio pel volto. Le bestie hanno la faccia, non il volto, e con­
segue dalle racconte cose, che la natura non ha fatto l ’uomo perch’egli,
a guisa di belva, solitario godesse le cose utili, ma perché cogli altri uo­
mini le comunicasse»107. In forza dell’argomentazione qui seguita, Vico
può speditamente concludere, in senso antihobbesiano, che «la natura
dell’uomo è quella che, lungi dal rendere questo o questo altro uomo
lupo all’uomo, prescrive invece che questo o quest’altro uomo sia uo­
mo al suo simile»108.
5. Ed è proprio con un intento dialogico da sempre avvertito emai smen­
tito, con il desiderio fortemente radicato di essere ‘uomo’ per l’altro ‘uo­
mo’, che il filosofo napoletano scrisse la sua autobiografia. L’occasione per
parlare di sé come studioso fu offerta a Vico dal letterato e nobile friulano
Giovanartico di Porcìa (1682-1743), che, nel più ampio quadro di un pro­
gramma di lavoro di cui si indicheranno fra breve i punti essenziali, lo in­
vitò a redigere un’autobiografia scientifica. Il filosofo napoletano ci infor­
ma che «per la sua modestia e per la sua fortuna, più volte niegò di volerla
scrivere»109. Se ciò fosse vero, si dovrebbe ipotizzare che su di lui abbia eser­
citato una forte influenza dissuasiva quello che si potrebbe definire il
topos
della ‘riservatezza del magnanimo’, cui accennò già Aristotele nell
'Etica ni-
106
Ivi
(«Aliensis vultibus conformet suos, ut ridentibus arrideat, morentibus mereat»),
107
Ivi
(«homo non solum ratione et sermone, sed vultu quoque a brutis animantibus dif­
fert (bestiae enim faciem habent, vultum non habent)».
108 G. VICO,
Deconstantia iurisprudentis
(1721), in Id.,
Operegiuridiche,
cit., p. 410 («haec
hominis natura est, quae non ut illum aut illum hominem homini lupus facit, sed illum aut il­
lum hominem homini dictat»,
ibid.,
p. 411).
109
Vita,
p. 69. Vico ritornerà sul tema nelle
Vici vindiciae,
dove esibirà la sua (falsa) mo­
destia accennando all’autobiografia come ad un testo scritto in seguito alle pressioni ‘insi­
stenti’ del conte di Porcìa e da questi pubblicato suo «malgrado» (cfr.
Vici vindiciae,
cit., pp.
46/49). Sulle ragioni del comprensibile imbarazzo che la pubblicazione della
Vita
suscitò in
Vico, cfr.
infra,
nota 124.
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