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ROSARIO DIANA
lato, e il lettore aspirante letterato, dall’altro, che questa storia intel­
lettuale interroga per delineare, sulla scorta dell’esperienza altrui, la
sua personale ancora da realizzare. Una condizione, questa, calata nel­
la concretezza storica dell’esistente ed arbitrata dal confronto fra il
già
fatto
da altri ed il
da fare
in proprio, entrambi certo sottoposti alle ri­
gorose leggi della ragione ma anche a quelle più impalpabili del caso
o del gusto, la qual cosa può far sì che ad essere determinanti per la
vita scientifica di uno studioso siano talvolta non le ferree regole del­
la logica e della sistematicità, ma un incontro fortuito, un evento ec­
cezionale o le personali, immotivate ma inaggirabili idiosincrasie. E
proprio qui, su questo terreno ibrido dove si coniuga l ’ideale con il
reale,
Vesprit de géométrie
e l
’esprit de finesse,
che si apre l ’orizzonte
di una comunicazione decisa non soltanto dal potere dell’apodissi, ma
anche dall’alternativa fra consentimento e dissenso: un’alternativa d i­
slocata in quella sfera patica che è sempre in questione quando si ve­
rifica un incontro fra un io ed un altro io.
Il
Progetto
e la
Vita
vichiana incassarono un riconoscimento incrocia­
to dai loro rispettivi autori. Nello scritto del filosofo napoletano - l’uni­
co fra gli studiosi interpellati che non disattese l ’invito rivoltogli - Porcìa
ravvisò un vero e proprio modello di autobiografia «come strumento sto­
riografico»123del tutto corrispondente alle sue aspettative e vide nel filo­
sofo colui «che più d ’ogni altro a quest’ora ha intesa la mia idea e l’ha po­
sta in pratica»124. L’idea del nobile friulano di allestire una raccolta omo­
genea ed organica di «vite letterarie» apparve invece a Vico una propo­
123 D
e
M
ichelis
,
op. cit.,
p. 105.
124 Lettera di Porcìa all’abate Esperti del 16 settembre 1725, cit. in A. BATTISTINI,
La di­
gnità della retorica. Studisu Giambattista Vico,
Pisa, 1975, p. 18 n. L’autobiografia vichiana fu
inserita nella
Raccolta d’opuscoli
subito dopo il
Progetto
proprio per offrire agli altri studiosi
coinvolti da Porcìa nell’iniziativa un modello cui attenersi (cfr.
Progetto,
p. 164, ma anche la
lettera di Giovanartico di Porcìa a Vico del 2 aprile 1728, in G.
Vico,
Epistole, con aggiunte
le epistole deisuoi corrispondenti,
cit., p. 139). Il disagio provocato in Vico dalla pubblicazio­
ne della propria autobiografia separata da quella degli altri studiosi cooptati ed investita del­
lo scomodo, per non dire pericoloso, privilegio della esemplarità - un disagio che egli non
mancò di esprimere ripetutamente a chiare tinte (cfr. le lettere di Vico ad Angelo Calogerà
dell’11 ottobre 1728, a Ludovico Antonio Muratori del 5 giugno 1730, a Carlo di Borbone
s.d., ma intorno al 1733,
ibid.,
rispettivamente, pp. 140,158,175) -, non nasceva certo da una
naturale ritrosia, ma piuttosto dal ragionevole timore del risentimento che da più parti della
provincia letteraria questa operazione - con la quale evidentemente Porcìa voleva dare ai ri­
luttanti collaboratori nel medesimo tempo un segnale tangibile di risvegliata vitalità dell’im­
presa ed un esempio motivante di operosità -, avrebbe potuto far convergere sul malcapita­
to e diligente autore. Per un rapido esame della fortuna riscossa dall’autobiografia vichiana
cfr. G. COSTA,
La posizione di Vico nella storia dell’autobiografismo europeo,
in questo «Bol­
lettino» X (1980), pp. 143-146.
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