RAGIONE NARRATIVA ED ELABORAZIONE DIALOGICA DEL SAPERE
155
ziato di quei contenuti nuovi o rielaborati di volta in volta emergenti lun
go il cammino della propria personale storia di ricercatore. Così inteso, il
paradigma autobiografico consentiva una trasmissione fondata sul con
senso, e perciò non perentoria, di esperienze formative, scientifiche e me
todologiche individuali, garantendo in tal modo la sussistenza di un prin
cipio di continuità fra passato, presente e futuro squisitamente storico
perché affidato alla scelta individuale ed individuata del lettore riferita ad
un bagaglio di sapere pregresso altrettanto individuale ed individuato; al
tempo stesso, però, la natura non dimostrativa ma ostensiva e persuaso-
ria delle proposte culturali formulate nelle autobiografie, proprio per la
sua costitutiva ‘debolezza’ - antidoto ai pericoli insiti nell’eccesso di mo-
numentalità degli esempi - , rivelava una straordinaria fecondità lascian
do al giovane, potenziale uomo di scienza, un ampio margine di libertà
per soluzioni originali e programmi di ricerca innovativi.
Per rispondere adeguatamente alle richieste espresse da Porcìa nel
Progetto
, Vico scriveva la sua autobiografia «con ingenuità dovuta
da
istorico»m -
in polemica con quel cartesiano
Discorso sul metodo
da lui
ritenuto un racconto pseudobiografico reticente sugli errori commessi
e perciò ‘costruito’
a priori
al solo scopo di tessere le lodi della «filoso
fia e mattematica» del suo autore e di affossare le discipline storiche131.
130
Vita,
p. 7 (corsivi miei). Il fatto che Vico scriva «da istorico» non esclude che egli non
cerchi nella autobiografia di accreditare una determinata immagine di sé non del tutto veri
tiera e che perciò fornisca in essa una «storia mitica» della propria vita
(M . F
ubini
,
Prefazio
ne
a
G . V ic o ,
Autobiografia. Seguita da una scelta di lettere, orazioni e rime,
a cura di
M .
Fu
bini, Torino, 19775, pp. VII-XX, in part. p. XIII, seguito poi da
D.
Ph.
VERENE,
L’Autobio
grafia’ di Vico e il ‘Discours’ di Descartes. Il problema della conoscenza di se stessi,
in Id.,
Vico
nel mondo anglosassone,
a cura di
M .
Simonetta, Napoli, 1995, pp. 34-35.
D i
Verene va ri
cordato anche il volume dedicato all’autobiografia vichiana:
The NewArt ofAutobiography.
An Essay on thè ‘Life ofGiambattista Vico Written by Himself,
Oxford, 1991). Tuttavia non
va dimenticato che nelle intenzioni di Vico (e di Porcìa) il racconto della propria vita doveva
configurarsi nella forma della autobiografia intellettuale, che, di per sé può alimentare qual
che deriva ‘mitica’, seppure - come nel caso di Vico - contenuta e contemperata dalla con
fessione degli errori commessi e degli insuccessi subiti. Sui
topoi
tipici delle autobiografie set
tecentesche - la cui presenza
è
riscontrabile anche nella
Vita
vichiana - cfr.
A . BATTISTINI,
Le
memorie di Giuseppe Compagnoni e i modelli autobiografici del Settecento,
in «Intersezioni»
X (1990) 3, pp. 476-482. Per un’analisi del genere autobiografico nella Napoli fra Seicento ed
Ottocento cfr., invece,
D . DELLA TERZA,
Misura dell’uomo e visione del mondo nelle autobio
grafie degliscrittori napoletani tra il Seicento e l’Ottocento,
in Id. ,
Forma e memoria. Saggi e ri
cerche sulla tradizione letteraria da Dante a Vico,
Roma, 1979, pp. 265-295.
131 Cfr.
Vita,
p. 29. Molto acutamente, e in sintonia con Vico, Andrea Battistini osserva
come Cartesio con il suo
Discorso,
«quasi fosse un Rousseau razionalista», scriva un’«auto-
biografia per ritornare al momento edenico in cui la sua ragione, depurata dalle scorie dei pre
giudizi», operi «in modo perfettamente uguale a quello di tutti gli altri uomini, in vista di
una
verità senza storia»
(A.
BATTISTINI,
I
simulacri di Narciso,
in Id.,
L
o
specchio di Dedalo. Auto-