156
ROSARIO DIANA
Il rispetto del dato concreto non si traduceva però in mera seriazione
cronologica dei fatti. Con alle spalle la prima edizione (1725) della
Scien­
za nuova
, già il Vico del 1728, e a maggior ragione quello
òe\\’Aggiunta
del 1731, che stava già rivedendo la seconda edizione (1730) del suo ca­
polavoro, non poteva non scrivere, oltre che
da filologo,
anche
da filo­
sofo102,
meditando sulle «cagioni così naturali come morali», sulle «oc­
casioni della fortuna», sulle «inclinazioni o avversioni più ad altre spe­
zie di studi ch’ad altre», sulle «opportunitadi» o sulle «traversie onde
fece o ritardò i suoi progressi» e «finalmente» su «certi suoi sforzi di al­
cuni suoi sensi diritti, i quali avevangli a fruttare le riflessioni sulle qua­
li lavorò l ’ultima sua opera della
Scienza nuova,
la quale appruovasse ta­
le e non altra aver dovuto essere la sua vita letteraria»133. In questo caso
il contributo della filosofia - ovvero del pensiero che esaurisce il suo
compito nel cogliere il significato dei fatti in rapporto allo svolgimento
del tutto - alla filologia - che è ricerca e registrazione dei fatti stessi sem­
pre modulante nella domanda sul loro senso rivolta al pensare - consi­
ste nel far emergere dal complesso degli eventi la direzione di un ‘pro­
getto’ di vita unitario ed ascensionale, culminante nella pubblicazione
biografia e biografia,
cit., p. 62 - corsivo mio). Sul rapporto fra la narrazione autobiografica
vichiana e quella cartesiana presente nel
Discorso sulmetodo
cfr.
MAZZOTTA,
op. cit.,
pp.
5
sgg.,
che mette in luce le loro difformità e
AMOROSO,
op. cit.,
che invece accentua, con un’indagi­
ne seducente, le loro profonde analogie.
132 Cfr. G.
Vico,
Aggiuntafatta dal Vico alla sua autobiografia,
cit., p. 69. Naturalmente
non si può non condividere il giudizio di Paolo Rossi secondo cui l’autobiografia vichiana è
una ricostruzione della vita dell’autore alla luce di «giudizi e posizioni e valutazioni propri
dell’età matura» (P.
Rossi,
Le sterminate antichità. Studi vichiani,
Pisa, 1969, p. 16). Tuttavia,
sebbene sia costante nella
Vita
il tentativo di «interpretare e di risolvere in chiave ‘platonica’
ogni lettura ed ogni esperienza intellettuale», sembra eccessivo concludere che conseguenza
diretta di quello sguardo retrospettivo sia il silenzio di Vico su quegli imprecisati «errori» e
«debolezze» giovanili confessati in una lettera indirizzata al padre Bernardo Maria Ciacco
dell’ottobre 1720 (cfr.
ivi).
Se, al contrario, il filosofo non avesse descritto con dovizia di par­
ticolari il proprio erramento poetico, dovuto - altro errore - all’eccessiva applicazione «nel­
lo studio delle metafisiche» in età acerba (cfr.
Vita,
p. 11), e se dunque la reticenza di cui par­
la Rossi fosse effettivamente tale, allora non si giustificherebbe la distinzione, affermata con
forza da Vico, fra il suo modo di raccontare la propria vita e quello di Cartesio, unicamente
preoccupato - secondo quanto si legge nella
Vita -
di dare dell’itinerario esistenziale ed in­
tellettuale descritto nel
Discorso sul metodo
l’immagine di uno sviluppo coerente e progressi­
vo. Per un’indagine sui diversi piani cronologici dell’autobiografia vichiana, anche in relazio­
ne all’uso dei tempi verbali, cfr. A.
MARTONE,
Il 'tempo' dell’autobiografia. Uso efunzione del­
la deissi temporale nella ‘Vita’ vichiana,
in
Giambattista Vico nel suo tempo e nel nostro,
a cu­
ra di M. Agrimi, Napoli, 1999, pp. 461-476;
R.
VERDIRAME,
Alcune considerazioni in margine
all’edizione critica dell”Autobiografia’,
in
L’edizione critica di Vico: bilanci e prospettive,
cit.,
pp. 107-118.
133 G.
Vico,
Aggiuntafatta dal Vico alla sua autobiografia,
cit., p. 69.
1...,146,147,148,149,150,151,152,153,154,155 157,158,159,160,161,162,163,164,165,166,...402