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ROSARIO DIANA
Il rispetto del dato concreto non si traduceva però in mera seriazione
cronologica dei fatti. Con alle spalle la prima edizione (1725) della
Scien
za nuova
, già il Vico del 1728, e a maggior ragione quello
òe\\’Aggiunta
del 1731, che stava già rivedendo la seconda edizione (1730) del suo ca
polavoro, non poteva non scrivere, oltre che
da filologo,
anche
da filo
sofo102,
meditando sulle «cagioni così naturali come morali», sulle «oc
casioni della fortuna», sulle «inclinazioni o avversioni più ad altre spe
zie di studi ch’ad altre», sulle «opportunitadi» o sulle «traversie onde
fece o ritardò i suoi progressi» e «finalmente» su «certi suoi sforzi di al
cuni suoi sensi diritti, i quali avevangli a fruttare le riflessioni sulle qua
li lavorò l ’ultima sua opera della
Scienza nuova,
la quale appruovasse ta
le e non altra aver dovuto essere la sua vita letteraria»133. In questo caso
il contributo della filosofia - ovvero del pensiero che esaurisce il suo
compito nel cogliere il significato dei fatti in rapporto allo svolgimento
del tutto - alla filologia - che è ricerca e registrazione dei fatti stessi sem
pre modulante nella domanda sul loro senso rivolta al pensare - consi
ste nel far emergere dal complesso degli eventi la direzione di un ‘pro
getto’ di vita unitario ed ascensionale, culminante nella pubblicazione
biografia e biografia,
cit., p. 62 - corsivo mio). Sul rapporto fra la narrazione autobiografica
vichiana e quella cartesiana presente nel
Discorso sulmetodo
cfr.
MAZZOTTA,
op. cit.,
pp.
5
sgg.,
che mette in luce le loro difformità e
AMOROSO,
op. cit.,
che invece accentua, con un’indagi
ne seducente, le loro profonde analogie.
132 Cfr. G.
Vico,
Aggiuntafatta dal Vico alla sua autobiografia,
cit., p. 69. Naturalmente
non si può non condividere il giudizio di Paolo Rossi secondo cui l’autobiografia vichiana è
una ricostruzione della vita dell’autore alla luce di «giudizi e posizioni e valutazioni propri
dell’età matura» (P.
Rossi,
Le sterminate antichità. Studi vichiani,
Pisa, 1969, p. 16). Tuttavia,
sebbene sia costante nella
Vita
il tentativo di «interpretare e di risolvere in chiave ‘platonica’
ogni lettura ed ogni esperienza intellettuale», sembra eccessivo concludere che conseguenza
diretta di quello sguardo retrospettivo sia il silenzio di Vico su quegli imprecisati «errori» e
«debolezze» giovanili confessati in una lettera indirizzata al padre Bernardo Maria Ciacco
dell’ottobre 1720 (cfr.
ivi).
Se, al contrario, il filosofo non avesse descritto con dovizia di par
ticolari il proprio erramento poetico, dovuto - altro errore - all’eccessiva applicazione «nel
lo studio delle metafisiche» in età acerba (cfr.
Vita,
p. 11), e se dunque la reticenza di cui par
la Rossi fosse effettivamente tale, allora non si giustificherebbe la distinzione, affermata con
forza da Vico, fra il suo modo di raccontare la propria vita e quello di Cartesio, unicamente
preoccupato - secondo quanto si legge nella
Vita -
di dare dell’itinerario esistenziale ed in
tellettuale descritto nel
Discorso sul metodo
l’immagine di uno sviluppo coerente e progressi
vo. Per un’indagine sui diversi piani cronologici dell’autobiografia vichiana, anche in relazio
ne all’uso dei tempi verbali, cfr. A.
MARTONE,
Il 'tempo' dell’autobiografia. Uso efunzione del
la deissi temporale nella ‘Vita’ vichiana,
in
Giambattista Vico nel suo tempo e nel nostro,
a cu
ra di M. Agrimi, Napoli, 1999, pp. 461-476;
R.
VERDIRAME,
Alcune considerazioni in margine
all’edizione critica dell”Autobiografia’,
in
L’edizione critica di Vico: bilanci e prospettive,
cit.,
pp. 107-118.
133 G.
Vico,
Aggiuntafatta dal Vico alla sua autobiografia,
cit., p. 69.