RAGIONE NARRATIVA ED ELABORAZIONE DIALOGICA DEL SAPERE
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ta ideale eterna’ costituiscono il principio universale e necessario, stabi­
lito dalla divinità, in base al quale si organizza e si scandisce rispettiva­
mente - e secondo un postulato parallelismo fra ontogenesi e filogene­
si - il tempo storico-universale del macroindividuo umanità e quello sto­
rico-individuale del singolo uomo143. Nel loro nesso indissolubile, mai
dissolvente l ’una nell’altra, la storia e la vita ideali eterne e le storie e la
vita che corrono in tempo, in quanto concetti elaborati per pensare il di­
venire storico dell’umanità e dell’uomo e per consentirne la compren­
sione e la narrazione, sono le due facce di un
lògos
narrativo duale, la
cui trama palpita di una tensionalità insopprimibile che spinge - come
si accennava all’inizio di questo lavoro - l ’intemporale a modularsi nel
tempo ed il molteplice temporale a trovare nell’eterno - nel costante ri­
corrente - l’origine di quelle linee fondamentali di svolgimento che es­
so sostanzia di sé.
Nella storia che corre in tempo, sia essa la storia plurale e polivoca
dell’umanità o quella della propria vita, l ’uomo trova quel «mondo [...]
fatto dagli uomini», i cui «princìpi si debbono ritruovare dentro la na­
tura della nostra mente umana e nella forza del nostro intendere»144; tro­
143 «Come gli uomini particolari naturalmente prima sentono, poi riflettono, e prima ri­
flettono con animi perturbati da passioni, poi finalmente con mente pura; così il genere uma­
no prima dovette sentire le modificazioni de’ corpi, indi riflettere a quelle degli animi e final­
mente a quelle delle menti astratte» (
Sn25
, § 298, p. 1125).
144
Sn25,
§ 40, p. 1000. E poi, passando per la
Scienza nuova seconda
e arrivando alla
Scienza nuova terza
: «Questo mondo civile egli è certamente stato fatto dagli uomini, onde
se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i princìpi dentro le modificazioni della no­
stra medesima mente umana [...]. Tutti i filosofi seriosamente si studiarono di conseguire
la scienza di questo mondo naturale, del quale, perché Iddio egli il fece, esso solo ne ha
scienza; e traccurarono di meditare su questo mondo delle nazioni, o sia mondo civile, del
quale, perché l’avevano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la scienza gli uomini»
(Sn44,
§ 331, pp. 541-542). A proposito di questo famosissimo brano, Pietro Piovani (
Vico
e lafilosofia senza natura,
in Id.,
Lafilosofia nuova di Vico,
cit., pp. 55-89) - mettendo in lu­
ce come in Vico si realizzi «l’allontanamento dalla metafisica tradizionale» e si manifesti
uno spiccato «disinteresse per la fisica»
(ibid.,
p. 86) entrambi confluenti nella fondazione
di una filosofia intesa come scienza storica dell’uomo - scrive: «Se gli uomini fanno questo
mondo e non quello naturale, che ad essi non compete, non deve sorprendere lo scacco del­
la filosofia della natura, ostinata a pretendere per l’uomo una conoscenza dei fenomeni che
l’uomo non può
fare,
forniti dunque di una logica estranea all’umanità, serrata nella mente
di Dio»
(ibid.,
p. 75). Nell’affascinante lettura di Piovani, che - come di consueto - sa con­
taminare abilmente retaggi storici con densità teoretiche e viceversa, la filosofia vichiana
«senza natura», sostituita 1’ «umanologia alla cosmologia» (Id.,
Esemplarità di Vico, ibid.,
p. 125), si viene configurando nella propria originale specificità in quanto proposta di una
«scienza umana» fermamente intenzionata «a partire solo dall’uomo, per capire l’uomo e
per andare oltre l’uomo. La
Scienza nuova
è questa scienza» (Id.,
Vico e lafilosofia senza na­
tura,
cit., p. 80).
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