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ROSARIO DIANA
va cioè la realtà storica nella quale convive l ’impianto e la guida provvi
denziale e - per ciò che concerne la concretizzazione individuata, di po
polo in popolo e di volta in volta diversa, delle forme e delle cognizioni
impresse nella mente della sua creatura da Dio - l ’agire libero dell’uo
mo che con la sua azione
fa
il proprio mondo: quello della storia145; se
però alla vita storica nel suo complesso e millenario decorso la
Scienza
nuova
può legittimamente applicare quel criterio conoscitivo del
verum-
factum
che abbiamo visto affermarsi nella riflessione vichiana sulla ma
tematica condotta nel
De antiquisssima
, dal momento che è l’uomo in
quanto umanità a
facere
il proprio mondo storico-universale, a maggior
ragione quel principio si può considerare esteso alla singola esistenza sto
rica, che è
fatta
proprio dal singolo individuo che ne percorre l ’intero ar
co temporale. Da questo punto di vista, la storia in quanto comprensio
ne-narrazione di ciò che
altri
uomini hanno
fatto
è sì scienza rigorosa di
verità, perché fondata sulla piena corrispondenza fra
verum
e
factum
e
sulla natura umana condivisa dallo storico e dall’attore responsabile del
145
Nel 1970, sulla scia di Karl Lowith, che, spiegando la vichiana «teologia civile ragio
nata», osservava come la direzione provvidenziale dei processi storici conducesse sempre a ri
sultati diversi dall’intenzione umana (cfr. LOWITH,
op. cit.,
pp. 85-86) - sicché, per dirla con
Erich Auerbach, nella costruzione del proprio mondo storico, realizzato «a tratti inconscia
mente», l’uomo finisce per essere uno «strumento cieco della provvidenza» (E. A
uerbach
,
Giambattista Vico e l’idea difilologia,
in I
d
.,
S. Francesco, Dante, Vico e altri saggi difilologia
romanza,
tr. it. Roma, 1987, p. 61) -, Eugenio Garin con una sintetica ma efficace analisi sto
riografica comparata faceva notare che se l’uomo di Hobbes
«crea
dal nulla le leggi e i criteri
del giusto e dell’ingiusto», per Vico invece «la scienza nasce quando, di là dal prodotto del
l’arbitrio umano, si ‘discopre’ un disegno, un piano, una norma» provvidenziali, «che
non
so
no i prodotti del fare umano» (E. G
arin
,
Introduzione
a C
hild
,
op. cit.,
p. 8). Pertanto, con
cludeva lo studioso, elaborando un’interpretazione divergente rispetto a quella di matrice
idealistico-crociana, quando parliamo del principio vichiano del
verum-factum,
ci troviamo
dinanzi a qualcosa «di molto lontano da un umano conoscere come fare caro a tanta lettera
tura critica intorno a Vico»
(ibid.,
p. 12). Naturalmente non è nel ristretto spazio di una nota
che una questione di così vasto respiro può essere discussa, tuttavia quello che in questa se
de si può provvisoriamente sottolineare è che le linee-guida della «storia ideale eterna» - il
succedersi delle varie età degli dèi, degli eroi e degli uomini nonché i «fini più ampi» perse
guiti dalla divinità e riconducibili alla conservazione dell’«umana generazione in questa ter
ra»
(Sn44,
§ 1108, p. 969) - sono così generali da consentire che entro l’alveo dell’ordine im
posto al divenire universale dalla «divina architetta» si dischiuda l’ampio orizzonte di un agi
re autonomo dell’uomo, fondamento di quelle particolari «storie di tutte le nazioni» che «cor-
ron in tempo»
(Sn44,
§ 352, p. 552). Da questo punto di vista è possibile affermare che l’uo
mo in quanto singolo - posto il susseguirsi necessario del ‘sentire’, del ‘riflettere con animo
perturbato da passioni’ e del ‘riflettere con mente pura’, susseguirsi che costituisce la corni
ce inintenzionale entro cui si svolge la storia individuale
-fa
la propria effettiva storia perso
nale; in quanto popolo - posta la «storia ideale eterna» quale ordinamento della storia uni
versale che trascende e governa
sub specie generalis
le volontà umane
-fa
la propria effettiva
storia nazionale.