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GERI CERCHIAI
dell’animo umano2. Il ripiegamento introspettivo permette, come
nell’«aneddoto, narrato da Platone», di ‘risvegliare’ le verità «innate e, per
così dire, suggellate in noi da Dio»; d’altro canto, e senza che il passaggio
sia chiarito nei suoi nessi logici, tali verità sono al contempo «scintille se
polte» nell’uomo e «creazioni» del poeta che egli, rapito «fuori di sé da
[uno] sforzo (
conatu
) della volontà», a stento riconosce come
opera pro
pria.
Ora, se il complessivo progetto pedagogico delle
Orazioni
si arenerà
nella constatazione dell’incongruenza della natura umana3, la dottrina del
la conoscenza come ricordo potrà essere svolta, con nuova consapevolez
za e sulla base di un’esplicita critica alla reminiscenza platonica, attraver
so l’opera di rivalutazione delle facoltà preriflessive del sapere condotta,
in particolare dal punto di vista teorico e speculativo, nel
De antiquissima.
Sarà inoltre nella congiunzione tra queste facoltà primarie con l’azione co
nativa e rammemorativa interna all’individuo che Vico, a partire dal 1710,
riuscirà a recuperare, facendole ruotare intorno al medesimo perno con
cettuale, le tre differenti immagini di ispirazione divina, di demone socra
tico e di genio interiore come metafore dell’incontro tra finito ed infinito
nell’animo per poi applicarne concretamente l’uso, in forma diversa se
condo le diverse occasioni, negli scritti successivi.
2.
Riferendosi alla dottrina del punto metafisico sviluppata nel centrale
capitolo IV del
De antiquissima
, Vico così riassume, nella
Prima risposta,
quanto al recensore potrebbe sembrare «aver bisogno di pruova» ulterio
re: «il corpo di un picciolissimo granello d’arena non è infinito, e pure con
tiene una virtù infinita di estensione; per la quale voi, dividendolo, andare-
te all’infinito»4; all’infinita divisibilità
fisica
degli elementi naturali corri
sponde dunque, sul piano della
materia metafisica,
una infinita ed indivisa
2 Cfr.
COSTA,
op. cit.,
p. 323: «Che cosa è per Vico l’ispirazione poetica? È un conato del
la volontà umana che si rivolge a Dio, depositario di tutto ciò che è grande e sublime. Que
sto movimento volontario dell’animo verso la divinità assorbe talmente il poeta da rapirlo fuo
ri di se stesso fino al punto da indurlo a credere in una ispirazione proveniente dalla stessa
realtà divina». Su Platone, Costa rinvia in particolare al
Fedro
(245a e 265b) e allo
Ione
(534).
3 Preda d’impulsi e desideri contrastanti, afferma Vico nella seconda
Orazione,
«ci ac
corgiamo che [...] la [...] natura umana è dissennata (
absurdam
) e per niente coerente con se
stessa, anzi con se stessa addirittura in contraddizione»
(Or. II,
p. 99); alla radice di tale ‘as
surdità’ è posto da Vico il conflitto interiore aperto nell’uomo dal libero arbitrio: «avesse vo
luto il cielo che Dio immortale avesse reso soggetta a sé, come le altre nature, anche la natu
ra dell’uomo! Difatti, ridotto entro termini debiti l’arbitrio, l’uomo procederebbe per la ret
ta strada verso quel giusto uso della ragione, per il quale è stato creato, in modo più unifor
me di quello con cui il sole e gli astri compiono il loro corso»
(Or. Ili,
p. 125).
4G. Vico,
Risposta del signor Giambattista Vico nella quale si sciolgono tre opposizioni...,
in
I
d
.,
La
Scienza nuova
e altri scritti,
a cura di N. Abbagnano, Torino, 1976 e 1996 (d’ora in
poi
Risp. I),
p. 768 e p. 770.