170
GERI CERCHIAI
dell’animo umano2. Il ripiegamento introspettivo permette, come
nell’«aneddoto, narrato da Platone», di ‘risvegliare’ le verità «innate e, per
così dire, suggellate in noi da Dio»; d’altro canto, e senza che il passaggio
sia chiarito nei suoi nessi logici, tali verità sono al contempo «scintille se­
polte» nell’uomo e «creazioni» del poeta che egli, rapito «fuori di sé da
[uno] sforzo (
conatu
) della volontà», a stento riconosce come
opera pro­
pria.
Ora, se il complessivo progetto pedagogico delle
Orazioni
si arenerà
nella constatazione dell’incongruenza della natura umana3, la dottrina del­
la conoscenza come ricordo potrà essere svolta, con nuova consapevolez­
za e sulla base di un’esplicita critica alla reminiscenza platonica, attraver­
so l’opera di rivalutazione delle facoltà preriflessive del sapere condotta,
in particolare dal punto di vista teorico e speculativo, nel
De antiquissima.
Sarà inoltre nella congiunzione tra queste facoltà primarie con l’azione co­
nativa e rammemorativa interna all’individuo che Vico, a partire dal 1710,
riuscirà a recuperare, facendole ruotare intorno al medesimo perno con­
cettuale, le tre differenti immagini di ispirazione divina, di demone socra­
tico e di genio interiore come metafore dell’incontro tra finito ed infinito
nell’animo per poi applicarne concretamente l’uso, in forma diversa se­
condo le diverse occasioni, negli scritti successivi.
2.
Riferendosi alla dottrina del punto metafisico sviluppata nel centrale
capitolo IV del
De antiquissima
, Vico così riassume, nella
Prima risposta,
quanto al recensore potrebbe sembrare «aver bisogno di pruova» ulterio­
re: «il corpo di un picciolissimo granello d’arena non è infinito, e pure con­
tiene una virtù infinita di estensione; per la quale voi, dividendolo, andare-
te all’infinito»4; all’infinita divisibilità
fisica
degli elementi naturali corri­
sponde dunque, sul piano della
materia metafisica,
una infinita ed indivisa
2 Cfr.
COSTA,
op. cit.,
p. 323: «Che cosa è per Vico l’ispirazione poetica? È un conato del­
la volontà umana che si rivolge a Dio, depositario di tutto ciò che è grande e sublime. Que­
sto movimento volontario dell’animo verso la divinità assorbe talmente il poeta da rapirlo fuo­
ri di se stesso fino al punto da indurlo a credere in una ispirazione proveniente dalla stessa
realtà divina». Su Platone, Costa rinvia in particolare al
Fedro
(245a e 265b) e allo
Ione
(534).
3 Preda d’impulsi e desideri contrastanti, afferma Vico nella seconda
Orazione,
«ci ac­
corgiamo che [...] la [...] natura umana è dissennata (
absurdam
) e per niente coerente con se
stessa, anzi con se stessa addirittura in contraddizione»
(Or. II,
p. 99); alla radice di tale ‘as­
surdità’ è posto da Vico il conflitto interiore aperto nell’uomo dal libero arbitrio: «avesse vo­
luto il cielo che Dio immortale avesse reso soggetta a sé, come le altre nature, anche la natu­
ra dell’uomo! Difatti, ridotto entro termini debiti l’arbitrio, l’uomo procederebbe per la ret­
ta strada verso quel giusto uso della ragione, per il quale è stato creato, in modo più unifor­
me di quello con cui il sole e gli astri compiono il loro corso»
(Or. Ili,
p. 125).
4G. Vico,
Risposta del signor Giambattista Vico nella quale si sciolgono tre opposizioni...,
in
I
d
.,
La
Scienza nuova
e altri scritti,
a cura di N. Abbagnano, Torino, 1976 e 1996 (d’ora in
poi
Risp. I),
p. 768 e p. 770.
1...,160,161,162,163,164,165,166,167,168,169 171,172,173,174,175,176,177,178,179,180,...402