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GERI CERCHIAI
so, d ’altro canto, si delinea come il luogo d ’incontro fra il pensiero fini­
to dell’uomo e quello infinito di Dio. Se infatti, secondo Vico, «la men­
te [...] [dipende] dall’animo» cosicché «ciascuno pensa nel modo in cui
[...] [questo] è disposto»13, il pensiero è a sua volta immesso diretta-
mente da Dio nell’animo configurandosi di conseguenza come un ‘pre­
cipitato’ del suo desiderare e una creazione del divino nell’uomo: «I la­
tini», afferma Vico nel capitolo VI del
De antiquissima
,
chiamavano
mens
ciò che noi chiamiamo ‘pensiero’ e dicevano che la
mente è data o immessa negli uomini dagli dèi. E verosimile quindi che co­
loro che escogitarono queste locuzioni credessero che le idee sono state crea­
te e suscitate (
creari excitarique
) da Dio negli animi degli uomini; che perciò
parlassero della ‘mente delFanimo’, riportando così a Dio il libero diritto e
l’arbitrio dei movimenti dell’animo sicché la
‘libido
o facoltà di desiderare
fosse ‘per ciascuno il suo proprio Dio’ (
ut ‘libido’, seufacultas quaeque desi­
derandi, 'sit suus cuique Deus’).
E questo Dio peculiare di ciascuno sembra
che sia l’intelletto agente degli Aristotelici, il senso etereo degli Stoici e il dè­
mone dei socratici
(Qui peculiaris cuiusque Deus intellectus agens Aristote-
laeorum, sensusaethereusStoicorum, etSocraticorumdaemon essevideatur)14.
Restituita la formazione del
cogitare
umano ad una tensione fra i movi­
menti dell’animo e le idee «suscitate [in esso] da Dio» per mezzo del co­
nato, ricorre anche la metafora del demone socratico, metafora attraverso
cui la riflessione vichiana potrà aprirsi al concetto di ispirazione ramme-
morativa come fonte di nuovo sapere e direzione della condotta individuale.
3.
« ‘Facultas’», spiega Vico nel cap. VII, § 1 del
De antiquissima
, «è
detta quasi come ‘faculitas’ donde viene poi ‘facilitas’ quasi per dire la
si muovono nello stesso senso in cui si muovono coloro che ne dispongono» (N.
PERULLO,
Hu­
mano e il bestiale. Ingegno, metafisica e religione nel De antiquissima, in Studi sulDe antiquissima
Italorum sapientia di Vico, a cura di G. Matteucci, Macerata, 2002, pp. 69-84, cfr. p. 76). Molto
chiari, a questo proposito, risultano essere due testi vichiani ricordati dallo stesso Perullo. Nel De
uno, Vico afferma, riferendosi a quanto già sostenuto nel De antiquissima-, «Ma noi, nella nostra
Metafisica (in nostraMetaphysica), alle cose inanimate ed ai bruti abbiamdinegato lo sforzo, il co­
nato (conatum) [...], riportando lo sforzo, il conato, alla sola mente (et conatum uni menti attri­
buimus)» (G.
VICO,
De universi iurisprincipio uno etfine uno, in Id., Operegiuridiche, a cura di P.
Cristofolini, Firenze, 1974 - d’ora in poi De uno -, p. 94); e nelDe constantia è ribadito: «nella no­
straMetafisica e nelle Lettere scritte su di essa (in nostra Metaphysica et in Epistolis quas ad eam
scripsimus), abbiamo escluso dal campo della fisica il conato per introdurlo in quello metafisico.
Infatti il poter resistere al moto di un qualche corpo è proprio di chi questo moto può dare, cioè
dellamente e di Dio» (G.
VICO,
De constantia iurisprudentis, in Id., Operegiuridiche, cit., p. 380).
Di N.
PERULLO
cfr. ancheBestie e bestioni. Ilproblema dell’animale in Vico, Napoli, 2002.
13 De ant., p. 229.
14 Ibid, p. 230.
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