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GERI CERCHIAI
le e conformano ad essa i loro eroi. Perciò i Greci ci hanno tramandato nei
loro miti che le Muse, le quali sono le virtù della fantasia, siano figlie della
memoria19.
Memoria è dunque tanto «la facoltà che conserva [le percezioni] nel
suo deposito», quanto l ’attività che riadatta il percepito tramite il mec
canismo del ricordo (
reminiscentia
). Tale aspetto creativo definisce più
propriamente la memoria come rielaborazione
fantastica
dell’oggetto
conoscitivo: «la parola», nota Vico nel passo appena citato, «significava
[...] [pure] la facoltà con la quale formiamo le immagini, detta [...] da
noi ‘immaginativa’». E a questo punto, in un quadro di maggiore deter
minazione concettuale rispetto a quanto scritto nella prima
Orazione,
che Vico può lasciar intrawedere la possibilità di riequilibrare, attra
verso la teoria delle facoltà come forze creatrici del nuovo, l’attrito fra
ispirazione lirica ed invenzione conoscitiva. Proprio un simile comples
so di concezioni è infatti difeso, nella
Seconda risposta,
come uno degli
elementi di originalità presenti nel
Liber metaphysicus\
«mio proposito»,
sostiene Vico,
fu mandar fuori un libricciuolo tutto pieno di cose proprie [...]. Siane
di ciò un esempio. L’‘ingegno’ da’ latini fu ancor detto ‘
memoria
’ [...]. Quel
lo che noi diciamo ‘immaginare’, ‘immaginazione’, pur da’ latini dicevasi
‘
memorare'
e ‘
memoria
onde
‘comminisci
e ‘
commentum'
significano ‘ri
trovare’ e ‘ritrovato’ o ‘invenzione’ [...]. E pure l’ingegno è il ritrovatore di
cose nuove, e la fantasia o la forza d’immaginare è la madre delle poetiche
invenzioni: lo che non avvertendo i grammatici, dicono molte cose poco ve
re d’intorno alla Memoria, dea de’ poeti, alla quale essi ricorrono ne’ loro
maggiori bisogni, e, con l’implorare l’aiuto di quella, danno ad intendere al
volgo succedute le cose che narrarono; ma in verità essi l’implorano per ri
trovar cose nuove. Ciò bastami per ritrarre che queste voci furono usate in
cotal saggio sentimento dagli antichi filosofi italiani: ch’essi opinassero noi
non aver cognizione alcuna, che non ci venga da Dio20.
19 De ant., p. 234. «Non ho trattato fin qui della poesia», aveva già scritto Vico in quel
cap. V ili del De ratione che sembra ricordare alcune riflessioni della Scienza nuova sulla poe
sia come sapienza del vero, «perché il genio poetico essendo dono di Dio ottimo massimo,
non si può procurare con altro mezzo [...]. Abbiamo già detto che la critica del nostro tem
po è dannosa alla poesia [...] giacché essa acceca [...] [nei fanciulli] la fantasia e ne annien
ta la memoria. I poeti migliori, invece, sono esseri dellafantasia e hanno come numipeculiari la
Memoria e le suefiglie, le Muse. Ma se quest’arte [della critica] si insegna ai giovani già bene
educati in ambedue queste facoltà mentali, io credo che giovi alla poesia, perché [...] i poeti
guardano al vero ideale universale»
(G. Vico,
De nostri temporis studiorum ratione, in Id.,
Opere, a cura di A. Battistini, cit., voi. I, p. 145, corsivi miei).
20 Risp. II, pp. 785-786.