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GERI CERCHIAI
maginare se non ciò che ricordiamo e non ricordiamo se non ciò che pos­
siamo percepire coi sensi»). La scoperta e l’invenzione di verosimiglianze
competono all’ingegno che, conseguentemente, per mezzo del suo rap­
porto con la fantasia, con la memoria e con le sensazioni, ferma in modo
definitivo l’essenza
creativa
e conoscitiva di
tutte
le facoltà della prima ope­
razione dell’animo24. In tal senso i poeti, «con l’implorare l’aiuto» della me­
moria, «danno ad intendere al volgo succedute le cose che narrarono; ma
in verità essi l’implorano per ritrovar cose nuove»; d’altro canto, non esiste
«cognizione alcuna, che non ci venga da Dio». Per il Vico maturo, dalla mu­
sa nascerà successivamente l’intero sapere umano, prima nella forma della
divinazione, poi in quello della metafisica ragionata25che,
«andando a rico­
noscere la mente dell’uomo in Dio,
per ciò che
riconosceDiofonte d’ogni ve­
ro,
dee riconoscerlo regolator d’ogni bene»26.
Fissato il ruolo della memoria nel riportare attivamente l ’individuo
alle fonti del proprio sapere e della propria coscienza, si rende tuttavia
necessario esaminare come questo movimento concettuale possa di fat­
to avvenire e come, nella zona dell’animo che aderisce al conato, operi
direttamente la mente divina.
4.
Subito dopo aver coordinato le quattro facoltà della prima opera­
zione della mente ed aver ribadito il rapporto fra memoria e poesia, Vi­
co così conclude il ragionamento condotto nella
Seconda risposta:
Ciò bastami per ritrarre che queste voci furono usate in cotal saggio sen­
timento dagli antichi filosofi italiani: ch’essi opinassero noi non aver cogni­
24 Segnalo che il talento creativo delle facoltà è uno degli aspetti che, per Vico, avvicinano
l’uomo aDio. Cfr. il seguente passo, tratto dal cap. Vili, § 2 del Deantiquissima, ove si ha fra l’al­
tro un interessante accenno a Plutarco: «I latini chiamarono ‘numeri la volontà degli dèi, come
se Dio ottimo massimo manifestasse la sua volontà col fatto stesso, e con tanta prontezza e faci­
lità quanto è pronto e facile un batter d’occhi [...]. La bontà divina infatti, col voler le cose, le fa
e le fa con tanta facilità che esse sembrano esistere di per se stesse. E come Plutarco [Vita di Ti-
moleone, 36,2] racconta che i Greci lodavano la poesia di Omero e le pitture di Nicomaco per­
ché sembravano nate spontaneamente e non già fatte dall’arte, così credo che i poeti e i pittori
abbiano, per questa facoltà di immaginare, ricevuto i titoli di ‘divini’» (De ant., p. 243).
25 «La sapienza», scrive Vico nel § 365 della Scienza nuova, «tra’ gentili cominciò dalla
musa, la quale è da Omero [...] diffinita ‘scienza del bene e del male’, la qual fu poi detta ‘di­
vinazione’» (Sn44, p. 561). La musa, figlia dell’ispirazione rammemorativa, è quindi l’inizio
storico della sapienza che, come divinazione, produce le prime creazioni fantastiche dei po­
poli antichi. È dalla metafisica poetica, che s’intendeva del «parlar degli dèi» (ibid., p. 574, §
381), che sorge in seguito la stessa metafisica filosofica: «Dappoi s’innoltrò la voce ‘sapienza’
a significare la scienza delle divine cose naturali, qual è la metafisica, che perciò si chiama
scienza divina» (ibid., p. 562, § 365).
26 Ivi, corsivi miei. Nel De antiquissima, come si vedrà, Vico sostiene del pari che la mens
«non conoscerebbe neppure se stessa, se non si conoscesse in Dio» (De ant., p. 231).
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