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GERI CERCHIAI
immessa da Dio nell’animo tenta invece di recuperare. E tuttavia, così
Vico prosegue la propria analisi del malebranchismo:
se Malebranche avesse voluto restare coerente con la sua dottrina, avreb­
be dovuto insegnare che la mente umana desume da Dio la conoscenza, non
solo del corpo di cui è mente, ma anche di se stessa: sicché non conosce­
rebbe neppure se stessa, se non si conoscesse in Dio (
ita ut nec se quoque
agnoscat, nisi in Deo se cognoscat).
La mente, infatti, si rivela pensando: Dio
pensa in me, dunque conosco in Dio la mia propria mente
(Deus in me co­
gitat; in Deo igitur meamipsius mentemcognosco
). Questo darebbe coeren­
za alla dottrina di Malebranche31.
Il pensiero, come successivamente affermato nella
Scienza nuova
, de­
ve rispecchiare se stesso nella mente di Dio; questi, d’altro canto, «pen­
sa in me» e quindi io posso conoscere soltanto se «conosco in Dio la mia
propria mente». Nella
Prima risposta,
la discussione intorno al male­
branchismo è congiunta con la dottrina della conoscenza ingegnosa e
rammemorativa in uno schema che, delucidando quanto già scritto nel
De antiquissima,
offre lo spunto per connettere definitivamente la con­
cezione del Dio presente in ogni cosa col sistema delle facoltà e, quindi,
con l’impianto complessivo della gnoseologia vichiana. Infatti, subito do­
po aver detto che «compita la dottrina dell’una e dell’altra sostanza, pas­
so a vedere della mente o sia del pensiero; e qui noto [= confuto] Male-
brance», Vico aggiunge: «Come appendici di queste cose mi si offeri­
scono le facultà dell’animo [ ...]. Ragiono della memoria e della fantasia,
e fermo che sono una medesima facultà»32. La teoria delle facoltà è dun­
que
almeno in parte
interpretabile come una ‘appendice’ del particolare
31 Ibid., p. 231. Vico sembra seguire l’argomentazione malebranchiana assimilando però,
del malebranchismo, una versione che Malebranche stesso aveva criticato. «Vico», scrive
Alfonso Ingegno, «attribuisce in modo errato a Malebranche, qui come nelle Risposte, la tesi
secondo cui sarebbe Dio a creare le idee in noi. Ora è noto che tra le varie ipotesi relative al­
la natura della visione e quindi della conoscenza dei corpi, Malebranche scarta nel
III
libro
della Recherche appunto quest’ultima [...]. Ora mi sembra opportuno rilevare che l’equivo­
co, se di equivoco si può parlare e non di scelta, in cui è caduto Vico, è cosa relativamente dif­
fusa [...]. A questo punto mi sembra si possa trarre una [... ] conclusione. [... ] Malebranche
rifiuta [...] [l’ipotesi] secondo cui l’intelletto umano sia in grado di produrre idee in quanto
ai suoi occhi tale atto equivarrebbe ad un’autentica capacità di creazione. Mi sembra che Vi­
co non solo abbia ritenuto legittimo attribuire tale potere a Dio ma abbia inevitabilmente ri­
collegato questa tesi con quella del verum-factum: sostenere che Iddio crea le idee in noi si­
gnificherebbe allora non solo che Egli è causa di esse e del cogito stesso, ma aprire la strada
appunto alla tesi secondo cui [...] egli [...] pensi realmente in me» (A.
INGEGNO,
Da Male-
branche a Vico, in Filosofia e cultura. Per Eugenio Garin, a cura di M. Ciliberto e C. Vasoli, Ro­
ma, 1991, voi.
II,
pp. 459-529, cfr., pp. 498-499).
32 Risp. I, p. 765.
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