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RAFFAELE RUGGIERO
dell’anima26) e soprattutto grazie al savonaroliano
Trionfo della Croce
ed al
fortunato manuale di Paolo Segneri,
Incredulo senza scusa11.
Indicazioni di
lettura che si coniugano con l’esplicita preferenza del de Angelis per una
prosa difficile, impopolare e involuta, laddove egli stesso afferma di aver
abbandonato la poesia (prescelta in gioventù per la sua agilità e brevità) a
favore di un rigoroso tirocinio oratorio condotto attraverso « l’incontenibi­
le impegno di forbir con fatica estrema i suoi sciolti sermoni»28.
A chiarire l’ambito culturale entro cui matura la decisione di far ruo­
tare la scrittura autobiografica intorno allo scontro con un filosofo ma­
terialista, soccorre il recente studio di Manuela Sanna dedicato alle for­
me di rappresentazione del vero nell’opera vichiana29. La studiosa si sof­
ferma sul nodo costituito dalla distanza fra immaginazione e ragione,
punto focale nel dibattito filosofico del secolo XVIII: in tale maniera la
Sanna procede al confronto analitico tra le differenziate liste di avversa­
ri vichiani, da Epicuro e Lucrezio fino a Hobbes, Locke, Spinoza e Bay­
le30, non trascurando Machiavelli e includendo (oppure no) i portavoce
europei del giusnaturalismo (ed anche fra questi eseguendo scelte ‘poli­
tiche’ non sempre immediatamente leggibili)31. Dunque lo scontro vi-
26 D e
Angelis afferma di non aver abbandonato mai la lettura dei filosofi antichi, neppure
quando per tre anni si astenne dal seguire regolari lezioni; e solo tralasciò di studiare quei dia­
loghi di Platone che non possono essere intesi se non con la guida di un maestro, e cioè il Par­
menide
e
il Timeo
(D
egli
ANGIOLI,
op. cit., pp. 34-35). Ma tutto lascia pensare che la formazio­
ne dell’autore fosse assai più lacunosa e indiretta; basti pensare che allorché viene rievocato l’in­
contro con Vico leggiamo: «Ma grande accrescimento di cognizioni gli sovraggiunse dalla con­
tinua famigliarità col maggiore intelletto di quel tempo, Giambattista Vico, da cui spiegati eb­
be in parte que’ suoi, oltre ad ogni altro, diletti autori, Terenzio, Tacito, Grozio, Verulamio»
{.ibid., p. 37). I quattro autori posti da Vico quali punti di riferimento sono, com’è noto, Plato­
ne, Tacito, Bacone e - più tardi - Grozio (Vita, pp. 29-30 e 44). Ora il permanere, di edizione
in edizione, della inammissibile sostituzione di Platone con Terenzio, nonché l’inversione cro­
nologica e concettuale di Bacone e Grozio appaiono elementi culturalmente assai significativi.
27 Cfr.
DEGLI ANGIOLI,
op. cit., p. 39;
Q.
M a rin i,
Frati barocchi. StudisuAnton GiulioBri-
gnole Sale, Giovanni Ambrosio de Marini, Angelico Aprosio, Francesco Fulvio Frugoni, Paolo
Segneri,
M o d en a,
2000, pp. 219-264.
28 D
egli
angioli
,
op. cit., pp. 37-38.
29 M . SANNA,
La «fantasia, che è l’occhio dell’ingegno». La questione della verità e della sua
rappresentazione in Vico, Napoli, 2001, pp. 28-33.
30 Si v ed a
L.
BIANCHI,
«E contro la pratica de’ governi di Baile, che vorrebbe senza religio­
ni poter reggere le nazioni»: note su Bayle nella corrispondenza di Vico,
in questo «B o llettin o »
XXX (2000), pp. 17-30.
31 A tale proposito la Sanna si sofferma sulle affermazioni autobiografiche di Vico, il quale
dichiarava di essersi interessato aEpicuro e Lucrezio per meglio accostarsi al pensiero platoni­
co. Insieme con tale problema è necessario definire il concetto vichiano di «morale solitaria»,
apparentemente esteso anche all’epicureismo (con riferimento anche alle esperienze libertine
seicentesche), nonché lo stoicismo vichiano, di matrice ciceroniana, e perciò essenzialmente lo-
gico-giuridico. Si veda la ricostruzione del dibattito in SANNA, op. cit., pp. 32-33, nota 47.
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