SULLA RELAZIONE DI IDEALE E FATTUALE,
DI METAFISICA E STORIA NEL PASSAGGIO
DAL
DE UNO
ALLA
SCIENZA NUOVA
Per lo storico della filosofia costituisce un’impresa difficile, sovente
vana, il rinvenimento di una precisa influenza o filiazione teoretica che
si stagli chiaramente tra tutte le altre fonti che compongono il mosaico
di confronti e rimandi di un testo, e che gli permetta di scoprire così
un’effettiva e sicura continuità, l’illusione di essere sulle tracce della sto
ria della filosofia in persona. Tanto più il reperimento di tali singole pre
senze è arduo e vano rispetto ad un’opera quale quella vichiana, così po
co attenta agli autori e tutta incentrata sulle questioni, anche qualora i
suoi riferimenti sembrino composti proprio
ad personam
, come nel ce
leberrimo caso dei «quattro auttori» o di Cartesio. Nella impostazione e
risoluzione delle concrete questioni teoriche, le diverse influenze si som
mano, si confondono e si perdono, e ciò che ad un primo sguardo ap
pariva semplice si è complicato, la determinazione storico-filosofica si è
trasformata in un più vasto problema di conoscenza. Nel
De uno,
Vico
appare trovarsi in una posizione particolare rispetto alle moderne teorie
del diritto naturale: influenzato fortemente da temi giusnaturalistici, in
particolare groziani, eppure, al tempo stesso, già critico verso di essi. La
presenza di Grozio, studiato solo pochi anni prima, in occasione della
composizione del
De rebus gestis Antonj Caraphei,
è certo ancora consi
stente. Occorre ricordare, con Guido Fassò, insieme insigne grozista e
vichista, che Grozio non è, propriamente, a capo di nessuna scuola giu
snaturalistica: «prima d’aver letto Tomasio o il Barbeyrac - e nel Seicento
ovviamente nessuno li aveva letti - non era facile scorgere in Grozio più
che un umanista ispirato, appunto, agli Stoici e a Cicerone, ricollegan-
tesi a quella dottrina ciceroniana della
vera lex recta ratio naturae con
gruens
che proprio un Padre della Chiesa, Lattanzio, aveva salvato dal
la dispersione del
De re publica
perché gli era apparsa enunciata da ‘una
voce quasi divina’». Le tesi filosofiche del
De iure belli ac pacis,
inoltre,
«non facevano che riecheggiare tradizionali dottrine scolastiche»1. Fas-
1 G. Fassò, Vico e Grozio, Napoli, 1971, pp. 15-16.