SULLA RELAZIONE DI IDEALE E FATTUALE, DI METAFISICA E STORIA
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Spinoza, Bayle, per i quali la società s’origina soltanto dalla necessità,
dal timore, dal bisogno degli uomini isolati e asociali21. Le occasioni
della comune utilità servono ad avvertire nascostamente (
submonere
)
gli uomini del giusto e dell’ingiusto22.
Il generale dualismo metafisico di mente e corpo si riflette dunque,
sul piano sociale e politico, come dualismo di giustizia e utilità. Il dirit
to, pertanto, non poggia affatto sull’utilità, corporea, ma su di un saldo
principio razionale. Tuttavia, il
perché
e il
come
della razionalità e della
socialità sembrano non coincidere integralmente. Se si prova una lettu
ra del rapporto di fattualità e idealità fondata sulle relazioni dinamiche
strutturanti il processo civilizzatore, si scorge che non è il fatto stesso
del suo verificarsi a costituire la
ratio,
poiché la
ratio
dell
’exaequatio
ci
vile delle utilità resta, in certa misura, esterna all’effettivo verificarsi di
questo uguagliamento, che, sebbene informato da essa, sembra sfuggir
le. La
ratio
appare, in questo senso, davvero la nottola di Minerva che
vola al tramonto, poiché la sua costituzione è opera del processo stesso,
il quale non la può però del tutto risolvere in sé, e in cui essa è comun-
21 Cfr. ibid.., p. 61. Abbiamo visto infatti che Grozio polemizza contro l’utilitarismo, da
lui personificato in Cameade. Fassò commenta questa incongruenza in un modo che va pie
namente nella direzione della tesi che anche noi sosteniamo sul rapporto tra il De uno e la
Scienza nuova: «Certo non è prudente fondarsi, a qualunque proposito, sul De uno, opera ri
specchiante un momento della formazione del pensiero vichiano che, pur annunciando la
Scienza nuova, è ancora di transizione [...]. Importantissimo per riconoscere le diverse fasi
dell’evoluzione del pensiero del Vico, il Diritto universale non esprime tale pensiero nelle sue
intuizioni più geniali, suggestionato ancora com’è, soprattutto nel De Uno, da dottrine tradi
zionali che nella Scienza Nuova appaiono totalmente superate. Anche i riferimenti a Grozio
che vi si incontrano, anteriori di cinque e quattro anni a quanto il Vico dirà di lui nèh'Auto-
biografia (contemporanea invece alla Scienza nuova prima), potrebbero non essere idonei a
chiarire ciò di cui il Vico sentì debitrice a Grozio la propria dottrina definitiva» (G.
F
assò
,
Vico e Grozio, cit., pp. 45-46).
22 G.
Vico,
De constantia iurisprudentis, in ID., Opere giuridiche, cit., p. 419. «Nono
stante quanto ha scritto il Croce, che nega la presenza di una concezione utilitaristica in Vi
co [...] bisogna invece precisare che se è vero che l’Autore non accoglie acriticamente l’uti
litarismo di Epicuro, di Machiavelli, di Hobbes, è altrettanto vero, però, che questa sua cri
tica alla riduzione della realtà umana e, quindi, delle sue manifestazioni in termini puramente
utilitaristici, non esclude ma, anzi, implica l’accettazione della presenza del momento della
utilità quale momento costitutivo e permanente della storia umana e, pertanto, delle sue va
rie manifestazioni [...] questo primato ideale della giustizia, quale vis veri diretta a regolare
e ad equiparare le utilità, non implica affatto la negazione o la messa tra parentesi della ra
gion d’essere delle utilità, degli interessi umani e dei loro inesauribili e storicamente sempre
vari e variabili contrasti sociali. Per il Vico, una giustizia senza il riferimento all’utilità sa
rebbe puramente vuota, sterile, perché la forza del vero, per agire, deve dirigersi ad un mon
do reale, concreto, corposo, qual è, appunto, il mondo della realtà storico-sociale, cioè del
l’utilità degli interessi individuali e sociali» (D.
PASINI,
Diritto società e Stato in Vico, Napo
li, 1970).