SULLA RELAZIONE DI IDEALE E FATTUALE, DI METAFISICA E STORIA
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litarie. La lotta sempre carica di idealità non è mai soltanto tale, lotta
ideale, ma è sempre concretamente diretta a strappare all’ordine patri
zio delle concessioni giuridiche relative alla proprietà, all’esercizio della
cittadinanza e del potere politico. Ciò però non è possibile all’individuo,
ma all’uomo associato, all’uomo come membro dell’ordine plebeo, al
plebeo che si sente membro della patria romana, che avverte l ’inade
guatezza della propria condizione di cittadino. La sollevazione plebea
conoscerà delle tregue, corrispondenti alle leggi agrarie e alle ulteriori
concessioni giuridiche da parte degli aristocratici, ma non si arresterà fi
no all’affermazione sociale dell’uguaglianza degli uomini, col formarsi
dei governi popolari. La lotta per l’estensione dei diritti civili e politici
costituisce infatti il filo unitario su cui si snoda la narrazione vichiana del
la storia romana fino al principato.
I patrizi dunque formano sì lo Stato sulla base della natura razionale del
l’uomo, ma per difendersi dal nemico di classe, la plebe, che ha comincia
to a sollevarsi unita. E la
paura,
dunque, che sta a fondamento dello Stato
come delle sue leggi, che ne è, se si vuole, l’occasione, ma che ne è comun
que anche il motore di sviluppo27. La coppia causa/occasione funziona dun
que così: il bisogno è ciò che mette gli uomini in condizione di attuare la
loro naturale socievolezza, la quale appare, sulla scorta di Grozio, come un
dato ultimo, non più investigabile, perché è un dato antropologico costitu
tivo, è ciò che fa gli uomini uomini. L’occasione permette così di abbando
nare ciò che a questa socievolezza naturale si contrappone come il lato oscu
ro dell’umanità, il piano dell’ostilità naturale (spontanea) e animale delle
precedenti fasi (condizione ferina eslege, stato delle famiglie e formazione
delle clientele, questi ultimi due momenti chiamati appunto da Vico «ru
dimenta rerumpublicarum»28) per dar vita alle repubbliche oligarchiche e
con ciò stesso alla società, trasponendo la condizione di primitiva natura
lità verso un piano pienamente socio-culturale d’esistenza. L’occasione per
mette allora di abbandonare l’ostilità naturale, ma non del tutto, sia perché
l’ostilità rimane l’atteggiamento dominante, all’esterno, i rapporti con gli
altri popoli (dato, questo, comune a tutte le nazioni antiche), sia soprattut
to perché viene mantenuta - benché trasfigurata e carica di valori ideali, tal
volta coincidenti nelle opposte intenzionalità politiche - all’interno di una
società ordinata dalle leggi, come lotta di classe. Anche l’ostilità naturale,
come il suo luminoso contraltare, la naturale socievolezza, appare così co
me un dato antropologico ultimo, inoppugnabile, di cui va appunto stu
27 Su ciò cfr. N.
BADALONI,
Introduzione a G.
Vico,
Operefilosofiche, a cura di P. Cri
stofolini, Firenze, 1971, pp. XXXIX e LIV.
28 De uno, pp. 117-119.