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MARCO VANZULLI
lo stesso tentativo aristocratico di mantenimento dello status quo si scon­
tra con le esigenze di eguaglianza sollevate dalla plebe, si forma una sorta
di equilibrio interno - equilibrio instabile, lo si
è
già accennato, composto
di tregue che segnano dei passi avanti verso l’eguaglianza giuridica - in cui
la violenza primigenia, trasformatasi adesso in lotta sociale e carica delle op­
poste rivendicazioni delle due parti in lotta, diventa forza di conquista, pa­
triottismo, ansia di emancipazione e d’inclusione. La politica estera
è
per i
cittadini di secondo livello di Roma il campo in cui poter fare avanzare ul­
teriormente 1
'exaequatio
a cui tende il conflitto, mentre la lungimiranza dei
cittadini di primo livello, che conducono la guerra stessa, nei confronti dei
popoli conquistati,
è
anch’essa un’estensione provvidenziale in funzione del
contenimento e del raffreddamento della guerra interna. Si potrebbe, at­
traverso logiche argomentative che fanno un po’ il verso a Hegel, mostra­
re il carattere simmetrico della tensione di politica estera e politica interna
nei due ceti contrapposti, così come la presenza in entrambi del momento
della
ratio
e di quello dell
’utilitas.
La
ratio
conservatrice della socialità dei
patres
uniti in ordine si oppone all’interesse delle
utilitates
plebee, le quali
tendono però verso un’estensione della socialità di contro al mantenimen­
to dei privilegi, delle inveterate
utilitates
dei padri. Non
è
questo il testo in
cui mettere in luce come una tale simmetria sia più apparente che reale, per­
ché la logica principale, anziché essere quella hegeliana della riflessione,
è
piuttosto la logica dell’estensione della
ratio
sociale contro la conservazio­
ne, e perciò non
è,
in fin dei conti, pienamente dialettizzabile44. Qui ci pre­
me invece far vedere come sia stretto l’intreccio di
ratio
e
utilitates
, di
cau­
sa
e
occasiones
, la cui idealità peraltro non viene meno per il fatto di essere
in tutto e per tutto risolvibile nei termini del conflitto, nelle contraddizio­
ni del processo che la fa emergere45.
A questo punto, l ’argomento giusnaturalistico groziano della razio­
nale natura socievole dell’uomo
è
scomparso come riferimento teorico,
non perché in se stesso non vero, ma perché non valido a spiegare le
ra­
gioni
storiche dei fenomeni; perché
soltanto vero
,
è
inutile a dar conto
44 Abbiamo provato a trattare di questo aspetto della questione in M.
VANZULLI,
Leggi e
conflitto sociale in Vico, in «Quaderni Materialisti» II (2003), pp. 155-164.
45 «Per il Vico, la realtà giuridica è una realtà complessa, risultante dalla compresenza dei
tre termini o elementi costitutivi: quello fattuale (utilità contrastanti, forza, autorità), quello
normativo-imperativo (certum) e quello assiologico-teleologico (verum). E tra questi tre ter­
mini non solo esiste un rapporto dialettico per cui solo astrattamente si può pensare ad uno
di essi senza, al tempo stesso, riferirsi agli altri, ma c’è anche una reciproca tensione per cui
la prevalenza di un termine sull’altro determina una diversa forma storica, specifica, peculia­
re del diritto. La realtà giuridica, infatti, oltre che realtà complessa, è realtà antinomica: il no­
mos è figlio di antinomie» (D. PASINI, Diritto, società e stato in Vico, cit., pp. 47-48).
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