SULLA RELAZIONE DI IDEALE E FATTUALE, DI METAFISICA E STORIA
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vista epistemologico la novità della
Scienza nuova.
Basti ricordare l’imba
razzo di Croce nel darne conto, la confusione di elemento filosofico ed em
pirico che vi ritrovava53. La
natura
si vien formando nel
modo
, nella
guisa
del suo nascimento, e ciò significa che il
giusto
non può essere effettiva
mente premesso alle
utilitates
né la causa può essere premessa - e, benin
teso, neanche logicamente - alle
occasiones-,
la
natura
è nella
guisa,
la
ratio
nella
utilitas,
la
causa
nella
occasio.
Nel
De uno,
utilità si contrappone a giu
stizia, occasione a causa. La fragilità di quest’opera sta nell’inconsistenza
del suo tentativo di mediazione delle opposte istanze; benché abbia già col
to il principio dell’implicazione di
verum
e
certum,
Vico non ha ancora as
similato in esso gli strumenti filosofici di cui si vale per pensare la sua ma
teria54. Le premesse filosofiche si oppongono nel
De uno
alla ricostruzione
storico-antropologica, che invece proprio qui viene delineata e poi sarà so
stanzialmente mantenuta nella
Scienza nuova.
La filosofia, in quanto pre
messa metafisica, non può più sopportare l’accelerazione provocata dalla
nuova definizione dell’ontologia della razionalità sociale, quale la stabili
scono le degnità XIV, XV e CVI della
Scienza nuova
del 1744. Il
De uno
ap
pare allora un’opera di transizione, in cui la ricezione dei contenuti giu
snaturalistici e occasionalistici si trova come a un primo momento rispetto
all’elaborazione dello status epistemologico del nuovo oggetto della rifles
sione vichiana, le
nazioni.
Questi temi non saranno poi abbandonati, ma
pienamente adeguati, trasformati e assimilati alla reale natura del discorso
vichiano, profondamente innovatore sotto molto rispetti e spesso proprio
là dove sembra maggiormente ancorato nel linguaggio a motivi tradiziona
li. Ha visto con lucidità il carattere dualistico del
De uno
Giuseppe Capo
grassi, di cui riportiamo questo lungo passo:
Questa strana coesistenza di un platonismo tradizionale, e di una intuizio
ne, che reclama che l’azione diventi 0 centro della ricerca e della conoscenza,
rende il
De uno
stranamente squilibrato. Malgrado la apparente definitività,
in quella sua architettura solenne e romana, il libro oscilla tra un’esigenza non
soddisfatta di spiegare la nascita del diritto nell’azione e risalire quindi ai pri
mordi dell’azione, e l’esposizione e la teoria di un’attività giuridica arrivata al
suo compimento, al suo ultimo termine in una rivelazione piena ed intera del
diritto naturale tutto spiegato. Per questo profondo squilibrio si sente, sotto
il bello e freddo latino del libro, battere la profonda ansia del pensatore pre-
53 Cfr. B. C
roce
,
Lafilosofia di Giambattista Vico,
Bari,
19804, p. 145.
54 IIDe uno è, per Stefano Velotti, «l’opera più ottusamente dogmatica di Vico», che, «per
la ‘durezza’ ontologica e metafisica del suo impianto, incrina irrimediabilmente l’ordine cir
colare del sapere e dell’essere, quel divinae et humanae eruditionis circulus che era suo scopo
saldare» (S.
VELOTTI,
Sapienti e bestioni. Saggio sull’ignoranza, il sapere e la poesia in Giam
battista Vico, Parma, 1995, p. 35).