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MARCO VANZULLI
so oramai, a mezzo della sua costruzione, dalla nuova grande idea e tormen­
tato dalla necessità di passare, prima di esprimerla, traverso una via crucis di
tentativi crudelmente provvisori. Il
De uno
porta in definitiva una conclusio­
ne senza motivazione, ed una esigenza senza soluzione. Grozio spiega tutto,
ed in certo modo soddisfa, perché in lui almeno manca del tutto la radicale
esigenza vichiana, della quale egli, col suo tempo, non ha nemmeno il sospet­
to. Vico tenta anch’egli nel
De uno
una filosofia del diritto (una conclusione
definitiva sul diritto), ma sente che essa non spiega la vita del diritto, la vita
degli uomini, la società, la civiltà: si riporta sino a Dio, ma veramente lascia
Dio al di fuori della storia; si riporta all’idea, alle idee umane, ma lascia l’idea
anch’essa al di fuori della realtà che è utilità55.
Nella
Scienza nuova
acquisterà allora piena chiarezza teoretica il distac­
co dal giusnaturalismo, con la sua astrattezza e la sua astoricità. Il giusna­
turalismo è, in sostanza, una filosofia coscienzialistica, che assume come da­
ta la naturalità della coscienza individuale, partendo dalla quale specifica i
mezzi giuridici e politici per giustificare o promuovere una determinata for­
ma di governo. Trascura quindi lo studio delle strutture economiche, giu­
ridiche e sociali, anche intese in senso sincronico56. La naturalità della co­
scienza individuale è un presupposto da Vico rifiutato, sostituito da quello
della sua storicità, ove con ‘storia’ s’intende proprio la costituzione sociale
attraverso l’opera delle istanze di ordine economico, giuridico e politico
nella loro complessa relazionalità. Come ha notato Fassò, nel
De uno
Vico
oscilla ancora tra una concezione storica e una sovrastorica del diritto, e ciò
presta il fianco all’interpretazione platonica e teistica57. Nel
De uno
si so­
stiene che i filosofi ateniesi si appoggiavano sul diritto naturale, e non sul
diritto positivo58. Nella
Scienza nuova
, la trattazione della natura del sape­
55 C
apograssi
,
op. cit., p. 27.
56 Vico si accorgerebbe dell’astrattismo e dell’antistoricismo di Grozio dopo la lettura di
Selden e Pufendorf, avvenuta tra il Diritto Universale e la Scienza Nuova prima (e dopo la lettu­
ra dei giusnaturalisti a pieno titolo Barbeyrac, Buddeus e Tomasius). Allora il diritto naturale di
Grozio gli appare «non un diritto naturale che si realizza negli istituti storici dei popoli, ma un
sistema di norme extrastoriche che si contrappongono alle norme storicamente osservate, vis­
sute, praticate dalle nazioni, non che si incarnano in esse; un diritto naturale dei filosofi, non un
diritto naturale delle genti» (G.
FASSÒ,
Vico e Grozio, cit., pp. 96-97). Cfr., ancora, il giudizio di
Capograssi, che considera il De uno come un’opera ancora rinchiusa «in una specie di impalca­
tura astratta, e si tormenta ancora nelle aride distinzioni della scuola, che, più che aiutare, non
facevano che fermare la spinta della sua meditazione»
(CAPOGRASSI,
op. cit., p. 11).
57 G.
FASSÒ,
Genesi storica e genesi logica della filosofia della «Scienza Nuova», in «Rivi­
sta intemazionale di Filosofia del Diritto» XXV (1948) 3-4, p. 332. Il De uno è per Fassò un’o­
pera di transizione, propria di un momento di crisi, ma di una crisi particolarmente feconda,
perché in essa Vico viene scoprendo la natura del nesso di verum e certum (cfr. Id., I «quattro
auttori» del Vico. Saggio sulla genesi della «Scienza Nuova», Milano, 1949, p. 57).
58 De uno, p. 287.
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