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ANTONIO GISONDI
postogli come «pastore zelante capace di disingannarlo e farlo ravvede­
re dei suoi errori». Proprio Cusani, inoltre, alla fine del 1752 era stato
preferito da Galiani a de Liguori per l’arcivescovado di Otranto. La ‘dot­
trina’ e lo ‘zelo’ del giurista giannoniano costituiscono, infatti, la ‘pedi­
na’ principale di Galiani, per arginare il probabilismo, in particolare
quello ‘benigno’ alfonsiano.
E necessario, perciò, seguire, sia pure a salti, il percorso teologico e
pastorale di Alfonso per tentare qualche spiegazione di quei silenzi che
consenta di cogliere le ragioni che, di fatto, lo differenziano nettamente
dal ‘maestro’ Torno. Nelle varie edizioni della
Theologia moralis
e poi
nel 1762, con
Verità della Vede,
l’autore affronta e combatte ad armi pa­
ri la deriva dei
lumi
della ragione critica, scettica e deistica, mentre con­
danna senza appello quella materialistica e atea; dialoga con il «dotto Ge­
novese» e ne suggerisce a modello alcuni passi della
Metaphisica
mentre
questa è sotto osservazione presso la Congregazione romana per la Dot­
trina della Fede54. Già nelle
Adnotationes
alla
Medulla Theologiae
del Bu-
sembaum, nel 1748, riesce a superare il residuo rigorismo del ‘maestro’
a vantaggio di un benignismo probabilistico, sia pure poi corretto. Pren­
de le distanze dall’apologetica tradizionale, cattolica e protestante, che
la
critique
ha già corroso. Eppure, a differenza del sicuro discernimento
del ‘maestro’, e nonostante l ’uso, sebbene prudente, della
ragione natu­
rale,
Alfonso non dà alcun giudizio sulla ‘cattolicità’ di Giannone e di
Vico. Sembra quasi che egli abbia visto nel
l ’istoria
e nella
Scienza nuova
due percorsi della ragione critica destinati a sfociare inevitabilmente fuo­
ri dall’alveo sicuro della Rivelazione, del dogma e della tradizione. E la
Chiesa, sottoposta ancora di più dalla metà del secolo in poi ai violenti
attacchi della
raison critique
dall’esterno ma di tipo opposto anche dal­
l’interno, non poteva certo difendersi e rinnovarsi percorrendo strade
ora malsicure eppure ritenute quasi ortodosse dal ‘maestro’ solo pochi
anni prima. Quel silenzio, quindi, è, di fatto, una diversità di giudizio.
Esso richiede, comunque, ulteriori elementi per poter essere decifrato e
confermare una diversa teoria-prassi della
ragione
finora solo delineata:
una filosofia che, se si resta legati a quella dicotomia prima richiamata,
non è né quella dell’
illuminismo
né quella opposta dell’
antilluminismo.
Pacia, dal canto suo, premessa la necessità di approfondimenti, con­
stata solo la «non intransigenza del conservatore» Torno. E dello stesso
tenore valuta anche il giudizio negativo del teologo, riportato nello stes­
so
Scritto antigiannoniano,
sul primo cartesianesimo che lo storico di
54
Cfr. N.
B
orchi
,
I guai di un apologista newtoniano
, in «Giornale critico della filosofia
italiana» LXXIX (2000) 2-3, pp. 387-400 e LXXXI (2002) 3, pp. 406-430.
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