A PROPOSITO DI UN TEOLOGO E GIURISTA DEL SETTECENTO
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tare che la certezza
esperimentale
della conoscenza razionale venga dife­
sa per fondare su di essa razionalmente l’arduo rinvio ai
lumi divini,
co­
me avviene anzitutto nella alfonsiana
Verità della fede.
La consapevolezza critica dei
limiti
di questa
ragione naturale,
capace
di certezza e universalità nella conoscenza
fenomenica
e, perciò stesso, di
non poter e non dover varcare «le soglie del tempio della fede» non trat­
tiene, infatti, Alfonso - al contrario delle coeve e ben più robuste esigen­
ze autocritiche della
ragione terrigena
di Genovesi e della
ragione pura
kantiana - dal fondare, comunque, proprio sulla quella stessa capacità co­
noscitiva
naturale
e
esperimentale
anche la razionale possibilità di ‘crede­
re’ la Verità rivelata. E l ’alfonsiana
religione
‘oltre’
i limiti della sola ra­
gione,
non ‘senza’ o ‘contro’ di essa, con una soluzione che, dal suo ver­
sante, anticipa e oltrepassa l ’intera e intensa indagine che l’idealismo te­
desco sta sviluppando sulla ‘critica’ e sulla ‘filosofia’ della rivelazione. Si
tratta di un tentativo arduo, molto fecondo sul piano della prassi pasto­
rale, compiuto dalla cultura cattolica per affrontare e superare l ’età della
esaltazione e della crisi della ragione. Muovendo da esigenze critiche in­
terne alla stessa cultura filosofica dei
lumi,
si cerca di conciliare ragione
e fede, salvandone le rispettive prerogative in un possibile equilibrio che
è sempre storico, perciò consapevolmente precario mai assoluto.
Quella genovesiana si pone come
ragione
consapevole dei rischi de­
rivanti sia dalla sua riduzione sensistico-materialistica, sia, all’opposto,
da un restaurato e assoluto primato razionalistico o idealistico della
men­
te.
Rischi che essa corre, appunto, allorché fuoriesce
dalla propria atmo­
sfera,
dal
mutuo commercio mente-corpo.
Essa si pone, perciò, come
re­
golo naturale,forza calcolante
che non rinvia affatto ai
lumi divini,
da am­
mettere per fede, ma solo ai razionali
altri lumi
che le consentono di fon­
dare la
scienza dell’io,
e quindi di Dio-Luce, a partire dalla propria di­
mensione
naturale-esperimentale
e antropologica. Alfonso, invece, assu­
me la ragione naturale, seppure finita e ‘probabile’, a guida razionale ne­
cessaria che può condurre l ’uomo
fino alle soglie del tempio della fede.
Egli accoglie in parte proprio quella distinzione «dei diversi gradi di cer­
tezza tra ragione e fede» che il ‘maestro’ Torno aveva sottolineato a Ge­
novesi nei lontani tempi della elaborazione della
Metaphisica.
Per Alfon­
so occorre discutere tutte le soluzioni elaborate da quelle esigenze criti­
che, prima ancora di reagire con assoluta fermezza e condanna, come an­
che egli stesso fa, a quelle che, invece, distruggono o rifiutano qualsiasi
fondamento, storico, naturale, razionale o divino della legge, come fan­
no scettici, deisti, materialisti e atei. Si tratta di pericoli gravi per la cul­
tura cattolica che il ‘maestro’ Torno non aveva dovuto affrontare o che,
forse, semplicemente non aveva intravisto. La compiutezza perfetta del
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