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FEDERICO MASINI
sola lingua e le stesse parole»
(Genesi 1 1 ,
1); d ’altra parte, la scoperta del­
la scrittura cinese ‘ideografica’ aveva acceso l’interesse di coloro che ave­
vano voluto vedervi una possibile traccia di quella
lingua universalis
smar­
rita proprio a causa della superbia umana. Quindi la lingua cinese suscitò
la curiosità di molti studiosi come Francis Bacon, John Webb, Athana-
sius Kircher, Andreas Mùller, Christian Mentzel e Gottfried W. Leibniz,
i quali in vario modo si impegnarono a dimostrare che la scrittura cinese
era in parte o in tutto collegata a quella lingua universale pre-babelica.
Alcuni di loro si cimentarono in particolare alla ricerca della cosiddetta
clavis sinica,
quel ridotto insieme di elementi grafici ai quali è possibile
far risalire la forma grafica di tutte le migliaia di caratteri cinesi e che quin­
di affascinavano per la loro possibilità di essere identificati con un nu­
mero limitato di ‘concetti’ elementari, alla base di qualunque ragiona­
mento, prima che la diversità linguistica li coprisse con la forma di un par­
ticolare idioma. Insomma, la lingua cinese veniva celebrata per la sua an­
tichità e per l ’essenzialità della sua scrittura: proprio quegli aspetti con­
tro cui sembrano maggiormente appuntarsi le critiche di Vico1.
La Cina sembra comparire per la prima volta in Vico nel
De constantia
iurisprudentis
del 1721, dove i cinesi sono fatti derivare dai
Seres,
i qua­
li a loro volta deriverebbero dagli sciti che, insieme ad egizi e caldei, sa­
rebbero le stirpi primigenie dell’umanità. In tale opera, come è stato già
sottolineato2, Vico sembra prendere atto positivamente dell’antichità dei
cinesi - «illud maximae antiquitatis certum vestigium ostendunt» - e
fornisce notizie circostanziate sulla lingua cinese: «omnia verba literis
monosyllaba consignata, quae polisemia, punctis additi, ad propria si­
gnificanda discernunt»3. La lingua cinese quindi si compone per Vico
di «parole monosillabiche, la cui polisemia si determina grazie all’ag­
giunta di tratti supplementari». Qui Vico sembra confondere il piano
della lingua parlata, composta da un ristretto numero di monosillabi,
che rappresentano morfemi più che parole, con quello della lingua scrit­
ta, dove, come già accennato, un ristretto numero di radicali o chiavi
consente, tramite l ’aggiunta di un elemento per lo più fonetico, la gene­
razione di oltre l ’ottanta percento dei caratteri cinesi, essendo i restanti
vere e proprie raffigurazioni di oggetti o forme, oppure associazioni di
esse forme.
1 Su tutta la questione si veda cfr.
D .
E.
MUNGELLO,
Curious Land. Jesuit Accomodation
and thè Origins of Sinology,
Honolulu, 1985, pp. 124-133; U. Eco,
Alla ricerca della lingua
perfetta
, Roma-Bari, 1993; G.
BERTUCCIOLI
- F.
MASINI,
Italia e Cina,
Roma-Bari, 1996.
2 P.
D
affin à
,
La Cina nel giudizio di G. B. Vico,
in «Cina», 1957,3, pp. 39-51.
3 G.
VICO,
Il Diritto universale,
parte II,
De constantia iurisprudentis,
a cura di F. Nicoli­
ni, Bari, 1936, pp. 402-403.
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