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RECENSIONI
mento tra interiorità ed esteriorità, in quanto «la ‘favella’ permet d’ abolir l’écart
entre
res cogitans
et
res extensa»
(p. 53). Ma in questo senso, la «logica poetica»
vichiana è una «sematologia», per cui Vico fa del
logos
che è al contempo «fa­
vella» uno studio dei «genera significandi», proprio in virtù della posizione me­
diatrice che essa assume tra il corporeo e lo spirituale; è dunque sulla «funzio­
ne» della
res linguistica
nella sua collocazione mediana che occorre riflettere.
Come è noto, il Settecento si è mosso intorno a un duplice significato attri­
buito all’origine del linguaggio, ora sottolineandone il valore
comunicativo
, se­
condo le tesi di Condillac e di Rousseau, ora considerandolo espressione di un
bisogno di tipo
cognitivo.
Ebbene, Trabant ritiene, con cautela filologica, che
Vico si appoggi soprattutto su questa seconda opzione, meno legata alla tradi­
zione, per cui «la fonction du langage - ou plus précisément, de la sémiose - est
avant tout d’explorer le monde, de cultiver le monde sauvage, plus que de ré-
soudre un problème social, pragmatique, comme celui de l’entraide (Condillac)
ou de la relation amoureuse (Rousseau)» (p. 55). L’A. sottolinea cioè come per
Vico la socievolezza sia innata nell’uomo, e dunque «la co-existence des hom-
mes et, par consequent, la communication, n’est pas, dans une prospective sé-
matogénétique, un
problème
pur Vico»
(ivi).
D’altra parte, la posizione vichia­
na voleva essere una dimostrazione; attraverso il passaggio tra l’epoca degli dèi,
degli eroi e degli uomini viene sancita una ‘storia sematogenica’ dell’umanità in
cui si trascorre dal ‘visivo’ al ‘fonico’, o, come scrive Trabant in modo efficace,
«du naturel figuratif à l’arbitraire non figuratif» (p. 57): è questo il senso che Vi­
co dà, ora alla «materialità dei segni» propria dell’ età degli dèi, dove i corpi di­
ventano «parole reali», ora ai «sèmata» che Vico applica, nell’età degli eroi, a
un materiale linguistico ancora visivo, in quanto i segni eroici attestano ancora
il senso del potere («les armes sont le support des signes, qu’en raion du fait que
ces signes eux-mèmes sont des armes, armes qui garantissent la domination», p.
57), ora, infine, all’età degli uomini, dove le «voci» riflettono nuovi campi di di­
scorsi «spécifiques à la totalité et à la généralité de bisoins vitaux ‘normaux’»
(ivi),
ma continuano a poggiarsi e a fondarsi sui loro trascorsi visivi e corporei.
Se dunque, indiscutibilmente, possiamo seguire una dinamica che procede dal
linguaggio esplorativo, cognitivo, a quello più dichiaratamente comunicativo,
che di fatto si realizza nell’età degli uomini, la dinamica stessa porta con sé in­
teramente i suoi trascorsi. Come osserva perciò Trabant, il passaggio dal visivo
al fonico non è in realtà di ordine qualitativo ma
quantitativo,
perché la nascita
delle «lettere» e delle «lingue» è «gemellare» («en jumeaux»), e il fatto che nel
corso delle varie epoche il segno visivo si indebolisca per far prevalere il segno
fonico sta ad indicare una sorta di osmosi semiotica mai esaustiva. La grande
scoperta che Vico sottolinea con orgoglio - il linguaggio poetico dei primi po­
poli -, deve essere compresa proprio a partire da quei caratteri poetici che so­
no immagini ‘scritte’ e cariche della loro materialità grafica, visiva, senza che ciò
confligga con il livello della «lingua vocale», di cui sono il fondamento. Trabant
riflette non di meno sui limiti che, nonostante un approccio così determinato e
fecondo per le future teorie linguistiche, Vico non abbia saputo valicare, non
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