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RECENSIONI
come la dottrina delle cause occasionali, ma anche, ad esempio, la sua conce­
zione dell’anima, la sua psicologia - assimilate e rielaborate da Vico, e segna­
lando sia la portata innovativa del pensiero dell’Oratoriano, sia i punti che se­
gnano l’arenarsi della speculazione malebranchiana, i cui germi, poi, trovano un
adeguato e inatteso sviluppo proprio nel filosofo napoletano.
Sulla base delle stesse dichiarazioni programmatiche dell’A., questo lavoro,
il cui punto di partenza e d’arrivo resta Vico - nella fattispecie l ’antropologia,
la linguistica, l’analisi dei miti -, s’innesta in questo ben marcato filone inter­
pretativo con l’intento di mettere a confronto le antropologie dei due filosofi e
ponendo il problema stesso di questo raffronto, se esso è legittimo e in che mi­
sura può essere condotto: piuttosto che rintracciare puntualmente la filiazione
malebranchiana delle concezioni vichiane concernenti la struttura della mente
pagana, gli universali fantastici, l’idolatria, la divinazione, i principi della lin­
guistica, la concezione organicistica della società, Fabiani preferisce mettere a
fuoco queste teorie sondando come siano sviluppate nei due pensatori; se­
guendo questo percorso, costruisce e via via corrobora la tesi che l’antropolo­
gia vichiana sia nei suoi tratti principali di derivazione malebranchiana, rinve­
nendo nella
Recherche de la vérité
i suoi presupposti teorici.
Nei primi capitoli del suo saggio l’A. dispiega l’idea che la
Recherche
sia in
realtà un’erma bifronte che, per un verso, potremmo dire nella sua più autenti­
ca
pars destruens,
è una critica della filosofia aristotelica incentrata sullo studio
dell’errore e, per un altro verso, svolge un’analisi antropologica e logica della
mentalità pagana - cioè di quel modo di pensare, di rapportarsi a se stessi e al
mondo scaturito dal peccato originale - , tematizzando compiutamente quel pa­
rallelismo tra mentalità erronea e mentalità pagana, accennato nelle
Passioni del­
l’anima
da Cartesio, il quale, agli occhi dell’Oratoriano, ha il merito, in opposi­
zione alle filosofie peripatetiche e al pensiero cristiano medioevale, di aver trac­
ciato confini netti tra il fisico e lo spirituale. In questo quadro la filosofia aristo­
telica si inscrive e si rivela come «concettualizzazione del pensiero naturale» con­
diviso da tutti gli uomini, «sublimazione logica della mentalità pagana», cioè co­
me un tentativo di pensare il rapporto uomo-mondo e di fondare la scienza che
fa leva in definitiva sulla sensibilità ed è proteso verso l’esterno; in altri termini,
l’aristotelismo, nella misura in cui è lo sbocco metafisico del peccato, esprime fi­
losoficamente e sistematizza in una costruzione concettuale la mentalità dell’uo­
mo «della strada», vale a dire quella visione pagana del mondo - contrapposta
alla visione propria dei cristiani dello spirito - fondata sul senso comune, che è
l’esatto contrario del buon senso e della logica cartesiani. In definitiva, secondo
Malebranche, i cardini dell'aristotelismo - l’idea di sostanza, il concetto di for­
za, la concezione della causalità naturale che attribuisce un effettivo potere cau­
sale agli enti finiti - sono gli stessi dell’idolatria, sicché contrapporsi all’uno fa
tutt’uno col rigettare l’altra. Secondo l’Oratoriano, il pensiero pagano, che è im­
merso nel sensibile, si caratterizza per il fatto che costruisce sulla sensibilità an­
che quelle idee che per noi rappresentano il massimo dell’astrazione, dell’uni­
versalità, della razionalità, quali i concetti di Dio, causa, infinito.
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