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RECENSIONI
tolica’, il secolo del Barocco». E anzitutto di qui propone d’intenderne l’anti-
cartesianesimo, in qualità di opposizione tanto all’irrigidimento «puramente re­
ferenziale» del linguaggio scientifico quanto alla «deriva della retorica verso una
teoria del
Yornatum»,
là dove invece «la scienza metafisica di Vico [...] sfrutta
tutte le risorse della retorica barocca per
dare a vedere
[...] la verità ideale ed
eterna nella storia» (p. 5). Ecco allora, dice l’A., che la
Scienza nuova
«evita,
per
partito preso retorico,
ogni esposizione o dimostrazione lineare» (p. 7), secondo
un modo di procedere che si radica in una «visione profondamente barocca del­
l’ordine, nella quale la coesione interna degli elementi è tanto più forte quanto
più si estende ad inglobare il maggior numero di cose», ma che al tempo stesso
s’indirizza pure ad un superamento dall’interno del Barocco medesimo, se è ve­
ro che in Vico il consapevole gioco delle illusioni e degli artifici vuol essere in
ultimo «un percorso di
conversione
dell’illusione nella
presenza»,
nella presen­
za cioè «al tempo stesso naturale e necessaria del divino nella storia» (pp. 6; 10).
In questa chiave, il grande principio del
verum-factum
emerge come cardine di
una «scienza perfetta, vale a dire una scienza metafisica dell’umanità» colma
dell’ambizione classica di essere scienza di universali, la quale però al tempo
stesso richiede «una parola vera al servizio della conoscenza di una verità eter­
na, un discorso che s’indirizza allo spirito e che è fatto in modo tale da elevare
l’anima del lettore fino alla ‘visione estatica’ dell’ordine divino che governa la
storia degli uomini» (p. 8). La forma retorica concepita a tal fine è individuata
da Luglio in quella che egli - con riferimento all’influenza su Vico della dottri­
na del sublime dello Pseudo-Longino - chiama la
«oratio sublimis»-,
un’arte del­
l’argomentazione caratteristica della
Scienza nuova,
che si dispone come appel­
lo alla «ingegnosità del lettore», impegnato a generare in proprio la conversio­
ne dell’illusione in presenza, ossia a concorrere in prima persona alla «costru­
zione progressiva di una presenza eterna, che l’immanenza dello sguardo uma­
no di norma nasconde a se stessa» (p. 10).
La tesi così delineata è sviluppata anzitutto come chiave per la ricostruzio­
ne dell’intero itinerario di pensiero vichiano. Così il primo capitolo, dedicato al
De ratione,
insiste sulla ricerca, nella rivendicazione del valore epistemico della
topica, di «una nuova arte critica» mirante ad «incarnare una modernità alter­
nativa, una sorta di terza via tra gli Antichi e i Moderni» (p. 20), mentre il se­
condo, mostrando la continuità del
Deantiquissima
con l’orazione del 1708, an­
che in vista della dottrina dell’attività topico-critica dell’
ingenium,
individua la
fondamentale conseguenza epistemologica del
verum-factum
nel radicamento
teologico («non dobbiamo cercare [...] la maniera in cui le cose sono state fat­
te altro che in Dio medesimo», ma «abbiamo una conoscenza di Dio, che non
è altro che il Dio della teologia cristiana», p. 30), colto come presupposto fon­
damentale della successiva concezione della provvidenza. Il discorso si stringe
poi sui rapporti col Barocco italiano (percepito da Vico anche come fermento
di un’identità culturale nazionale) da un lato, e sull’influenza dello Pseudo-Lon-
gino, dall’altro, per far emergere come l’intento vichiano di «far forza alla men­
te col vero» implichi anche un confronto tecnico con la retorica tradizionale e
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