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RECENSIONI
me critico dell’interpretazione crociana di Vico, dunque alla individuazione del
la «profonda e sostanziale differenza»
(ivi)
che Vanzulli sostiene vi sia fra la
Scienza nuova
, da un lato, e
La filosofia di Giambattista Vico
e
La logica come
scienza del concettopuro
di Croce, dall’altro; la seconda, invece, tesa a mostra
re le divergenze teoretiche sussistenti - ma sempre smussate dai teorici del «pre-
corrimento» - fra il capolavoro vichiano e
Le lezioni sulla filosofia della storia
di Hegel.
In sintesi, l’accusa mossa a Croce consiste nell’osservare come la sua ridu
zione di Vico a precursore della propria prospettiva filosofica - sorta in un’età
caratterizzata dalla reazione idealistica contro l’imperante positivismo - trascu
ri di «rilevare le molte dichiarazioni vichiane relative alla fondazione di un nuo
vo e autonomo campo del sapere» (p. 24). Piegata a diventare annuncio anco
ra incompiuto dello storicismo crociano, la complessa architettura concettuale
edificata da Vico nella
Scienza nuova
finirebbe - secondo Vanzulli - per essere
mortificata, poiché, per effetto di questa forzatura interpretativa, rimarrebbe ir
rimediabilmente in ombra il fine precipuo al quale quel testo, nelle intenzioni
del pensatore settecentesco, avrebbe dovuto rispondere: trovare «il
metodo
di
una scienza intorno alla
comune natura delle nazioni»,
ossia costruire una so
ciologia ed un’antropologia o, meglio, una «meta-sociologia o meta-antropolo
gia» che volesse «essere
scienza prima,
fondatrice di altre discipline, che con
tiene in sé» (p. 24). Appellandosi agli studi di Momigliano e di Paolo Rossi, Van
zulli ritiene che Vico, realizzando « l
'unificazione metodica di un oggetto
ancora
indeterminato, perché sparso e smembrato nella varia trattatistica seicentesca e
settecentesca» (p. 29), abbia indirizzato i suoi sforzi teorici soprattutto a ritro
vare i «
princìpi dell’umanità delle nazioni»,
ovvero quelle
«costanti culturali
o
universali della cultura»
che ancora oggi «costituiscono la questione fonda-
mentale» (p. 31) per la scienza antropologica. Sguardo da antropologo, dunque,
non da storico - afferma Vanzulli - è stato quello con cui Vico ha guardato
all
'«umanità delle nazioni», o
- per fare un esempio - alla storia romana, da lui
studiata non in veste di «antichista» ma piuttosto in quella dello scienziato del
l’uomo (o del fondatore della scienza dell’uomo) che si dirige ad un complesso
di eventi del passato come ad una cultura «altra» (cfr. pp. 24-25). Naturalmen
te, scrive Vanzulli, «neanche Croce può [...] negare l’esistenza di una ‘scienza
sociale’ nell’opera vichiana. Soltanto, ne nega il valore proprio, sostenendo che
nella
Scienza nuova
essa coesiste con altri due ordini di ricerche: uno facente ca
po a ‘una filosofia dello spirito’ (ricerca
filosofica),
un altro consistente in ‘una
storia (o gruppo di storie)’ (ricerca
storica).
Il terzo ordine di ricerche, quello
appunto della scienza sociale, è designato [...] come
meramente
empirico, si
gnificandone con ciò l’inintelligenza e la mancanza di orientamento autonomo
nel definire il proprio
status
scientifico qualora non sia sorretto dalla specula
zione» (pp. 34-35). La lettura crociana, dunque, «non rende conto del proget
to» epistemologico posto alla base del «sapere vichiano» (p. 31, ma cfr. anche
p. 57), il quale «più che narrare e rappresentare, classifica» (p. 62), vale a dire:
non tende a fondare la storia, ma piuttosto la sociologia e l’antropologia. Sulla