RECENSIONI
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scorta di queste premesse, Vanzulli può poi affermare perentoriamente che «nel
la trattazione della
Scienza nuova
il tema della storia non è assolutamente prio
ritario» (p. 61), «non possiede alcuna preminenza in quanto oggetto di discor
so scientifico» (p. 102) e che per «storia» deve intendersi «la trasformazione de
gli istituti socioculturali di una nazione» (p. 61), la riconduzione dello «svilup
po di un popolo e delle sue istituzioni [...] a legalità e a tipicità» (p. 102).
Quest’ultima tesi, in particolare, appare poco convincente; e ciò perché quel
la «storia universale», che nell’opera fondamentale di Vico si vuole «ottenere
con iscienza» (
Sn25
, 90), grazie alla stretta connessione posta fra «storia ideale
eterna» e «storia di tutte le nazioni» che corre «in tempo» (cfr.
ivi),
è appunto
un Giano bifronte, luna faccia del quale è il
vero,
ricavato grazie al processo co
noscitivo che consente di enucleare la successione necessaria delle «costanti»
entro il susseguirsi temporale degli eventi; l’altra faccia (o contraltare) è però il
certo,
l’insieme dei
facta
diacronicamente ordinati, cioè la storia ricostruita e nar
rata, senza la quale il
vero
non trova il luogo del proprio indispensabile riscon
tro. Ragion per cui, se vichianamente scienza deve esserci - e qui è indifferente
che sia la filosofia, la sociologia o l’antropologia - , essa o scaturirà da quel nes
so di
vero
e
certo,
del quale la filologia (cioè la storia), in quanto appunto sape
re del
certo,
è una componente strutturale irrinunciabile, o non sarà la scienza
a cui pensa Vico, quella che «ci è mancata finora» e che è «insieme, istoria e fi
losofia dell’umanità» (.
Sn25,
23). Inoltre, è vero che per Vico «la storia univer
sale» presenta una «certa perpetuità» (approccio antropologico, secondo Van
zulli); ma è altrettanto vero che essa si affatica a indicare «certe origini»
(Sn25,
90), a ricostruire storicamente l’articolazione del
factum
realizzato dall’uomo,
per mostrarne il
verum-,
«perpetuità» quindi insieme ad «origini», come dire:
antropologia e storia, «le due cose massime che, fino al dì d’oggi», nella storia
universale «sono state cotanto desiderate»
(ivi).
A proposito poi del
verum-factum,
Vanzulli con pochi e sapienti tratti sinte
tizza la dottrina vichiana espressa nel
De antiquissima-,
«per cause interne», egli
scrive, «lo studio della natura» non appartiene all’uomo. Essendo Dio il crea
tore del mondo naturale, «solo lui ne ha piena conoscenza, vera e non verosi
mile»
(V
anzulli
,
p. 41). Ma poi, ricorrendo all’autorevolezza di Fausto Nico
lini e spingendosi oltre, continua: «Dato a Dio ciò che è di Dio, si dà all’uomo
ciò che gli è dovuto: la conoscenza del mondo umano
tout-court,
e, con essa, dei
passaggi tipici dello sviluppo, la storia, di cui solo l’uomo è l’autore. Ciò Vico
non lo dice [...], ma è lì sotto i nostri occhi: questa epistemologia permette di
escludere, ed esclude di fatto infine, la teologia dal sapere filosofico e storico
[...]. Ecco dunque il vero obiettivo del
verum-factum
nella sua compiuta for
mulazione: l’autonomia del sapere antropologico e storico-sociale» (pp. 41-42).
Non c’è che dire, questa lettura è suggestiva, ma risulta difficile pensare ad
un’antropologia vichiana che possa fare completamente a meno dell’idea di Dio
- senza il quale anche l’uomo, in quanto oggetto di quella stessa disciplina scien
tifica, si dissolverebbe - ; e qui basta ricordare le parole conclusive della
Scien
za nuova prima-,
«Senza un Dio provvedente, non sarebbe nel mondo altro sta-