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RECENSIONI
to che errore, bestialità, bruttezza, violenza, fierezza, marciume e sangue;
e, for­
se e senzaforse, per la gran selva della terra orrida e muta oggi non sarebbegene­
re umano
» (
Sn25
, 476 - corsivi miei).
Al termine della prima parte del suo lavoro Vanzulli osserva, sulla scorta di
Badaloni, come la lettura fortemente prospettica di Croce si sia resa responsa­
bile di un impoverimento del pensiero vichiano, causato soprattutto dalla sua
decontestualizzazione rispetto al tessuto storico-filosofico dell’epoca in cui es­
so germinò; proprio questo pernicioso esercizio di estrapolazione e di isola­
mento avrebbe reso «impossibile - sono parole dello stesso Badaloni citato da
Vanzulli - una concreta definizione degli apparati teorici usati dal Vico»
(V
an
-
ZULLI,
cit. a p. 74). Collegata a questa analisi di Badaloni, che in sostanza con
vari titoli di legittimità rinfaccia a Croce di aver potuto curvare ai fini del suo
filosofare un pensiero «altro», proprio per averlo reso «astratto», per averlo
strappato al dialogo con il proprio tempo, è una riflessione ermeneutica di Van­
zulli molto interessante, in quanto enuncia l’idea di una sinergia attiva nell’in­
treccio fra teoresi filosofica e storia della filosofia. L’A., infatti, osserva che il ri­
schio di arbitrarietà, cui ci espone la nostra insopprimibile esigenza di leggere
il pensiero altrui in relazione «ai nostri interessi teorici» - vale a dire nei peri­
gliosi termini crociani di
ciò che è vivo e ciò che è morto
- , viene considerevol­
mente ridotto «nella misura in cui si tenti preliminarmente una sincera colloca­
zione storico-filosofica del proprio oggetto rispetto al contesto in cui sorse e si
affermò, rispetto alla lotta che effettivamente condusse» (pp. 69-70).
Delle diverse e condivisibili osservazioni contenute nella seconda parte, de­
dicata - come si è già detto - all’esame del rapporto
forzato
fra la
Scienza nuo­
va
e le
Lezioni sullafilosofia della storia
di Hegel, molte meriterebbero di esse­
re esposte nel dettaglio. Si preferisce però qui selezionare - e lo si fa con un pre­
ciso intento - solo quella relativa al confronto fra la vichiana unione di filosofia
e filologia ed il principio di un governo razionale del mondo storico su cui si
regge la filosofia hegeliana della storia; scrive Vanzulli: «Quando Hegel afferma
che l’esigenza soggettiva che deve stare alla base dello studio scientifico è ‘il de­
siderio di un’intuizione razionale, di una conoscenza, e non già quello di una
mera raccolta di nozioni’, si potrebbe ravvisare subito una comunanza d’inten­
ti con la vichiana ricerca di un’unione scientifica di filologia e filosofia. In realtà,
in questa premessa hegeliana si trova soltanto una metà dell’auspicata unione,
e precisamente la critica ‘ai filologi che non curarono d’avverare le loro autorità
con la ragion de’ filosofi’, mentre è assente [...] la critica ai ‘filosofi, che non ac­
certarono le loro ragioni con l’autorità de’ filologi’» (p. 79).
L’interesse per questo particolare ma non solitario luogo tematico (cfr. an­
che pp. 99,120-121) trova la sua ragione nel fatto non casuale che Vanzulli, pro­
prio quando prende in esame le ‘violenze’ ermeneutiche cui è stato sottoposto
il pensiero di Vico al fine di ridurlo a premessa di quello
geschichtsphilosophi-
sch
hegeliano, è portato implicitamente ad affermare la centralità della storia
nella
Scienza nuova.
Cos’è che infatti 1’ A. ritiene mancante nell’ordito concet­
tuale che sorregge la filosofia della storia hegeliana, se non ciò di cui invece con-
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