RECENSIONI
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verum-factum,
da una parte come principio epistemologico, dall’altra come
principio ontologico. E però fuorviante la considerazione dell’A. secondo cui
gli studiosi vichiani non avrebbero contribuito a smussare il confine tra l’epi-
stemologico e l’ontologico. Se si pensa a Fisch, ci riferiamo ad una autore filo
soficamente devoto a un pensiero non incentrato sulla nozione di soggetto:
avrebbe detto con Pierce che l’individuo è solo una negazione, un errore, un’a
nomalia statistica. Quando Luft (pp. 123-124) si imbatte nella traduzione con
cui Fish rende
verum
con « l’intelligibile», considera questo un altro esempio
dell’interesse rivolto al significato epistemologico, piuttosto che ontologico, del
verum-factum,
lasciandosi però in tal modo sfuggire il riferimento di Fisch all’i
dealismo oggettivo di Peirce, in un tentativo squisitamente pragmatista di per
fezionare la distinzione tra il conoscibile e il reale.
Nel secondo capitolo,
«Verum-Factum
and thè Poetic Ontology of thè He-
brews», l’A. analizza una tradizione che individua « l’originaria creatività del Dio
biblico non nella mente divina, ma in un linguaggio ontologicamente potente» (p.
13), e nota come il processo di identificazione del
logos
greco con il
davar
ebrai
co sia stato particolarmente problematico, al punto che il «virus» della soggetti
vità ha finito per accompagnare il
logos
nella tradizione biblica (cfr. p. 117). Men
tre il greco è orientato verso il linguaggio dell’uomo ragionevole (vale a dire, ver
so la logica), l’ebraico concretizza una forma di identità tra parola, azione e cosa.
Luft dichiara che «il processo attraverso il quale il
logos
arrivò a soppiantare il
da
var
e l’onto-teologia scalzò una concezione linguistica, dinamica di Dio e dell’at
tività creativa, si può rintracciare nell’uso sempre più mistificato del termine da
parte di Filone, Paolo e Giovanni» (p. 80). H
verum-factum
di Vico è allora visto
come una ripresa delle implicazioni radicali dell’ebraico e un allontanamento dal
l’interpretazione trascendentale del
logos
giovanneo. Gli atti linguistici umani -
siano essi definizioni geometriche o dichiarazioni normative - non sono sempli
cemente costitutivi
in
questo mondo; essi sono costitutivi
di
esso nella misura in
cui per Vico non si può uscire dai fondamenti della società.
Il
terzo capitolo, «The Strange:
''Verum-Factum
and thè Secularization of Poe
tic Ontology», offre una nuova lettura della radicalizzazione del progetto vichiano
dal
De antiquissima
alla
Scienza nuova.
Luft è convinta, come Ernesto Grassi, che
ci sia affinità tra Heidegger e Vico (p. 197), e sviluppa ulteriormente il suo concetto
di
davar
al fine di leggere la storia dei «bestioni» vichiani come un intreccio di pa
rola, azione e cosa,
poiesis
nel suo significato più radicale. Se è vero che una tale
lettura «alchemica» è vivificante, essa può anche essere fuorviante. Si può, ad esem
pio sostenere con tutta onestà che Heidegger assomigli a Vico quando formula la
più esistenziale delle domande: «Perché si dà un mondo umano piuttosto che nes
sun mondo affatto?» (p. 140); 1’ A. nota che questa domanda condusse Vico alla
considerazione di «un momento senza tempo
anteriore
al tempo storico, quando
gli esseri senzienti presero possesso di un linguaggio creativo divino» (p. 201). È
certamente corretto affermare che Vico arriva a prendere in esame tale momento:
la
Scienza nuova
è del resto una analisi della
natura delle nazioni,
del venire all’es
sere del processo del divenire; tuttavia, sostenere che per Vico gli esseri che poi co-