AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
367
Nazareth, e una nuova setta di giudaismo,
con un dizionario mentale senza eguali» (p.
70).
[D. M.]
33.
GROZIO
Ugone, 11 dritto della guerra
e della pace (ristampa anastatica), introduzio
ne di F. Russo, premessa di S. Mastellone, 4
voli., Firenze, Centro editoriale Toscano,
2002, pp. XXXIX-258+342+375+342.
E la traduzione del libro I e dei primi 15
capitoli del libro II del De iure, curata dal
l’avvocato napoletano D. Antonio Porpora e
stampata a Napoli da Giuseppe De Domini
cis, nel 1777, «colle note dello stesso autore
e di Giovanni Barbeyrac». Incoraggiata da
Salvo Mastellone che, nell’interessante Pre
messa, segnala le ragioni politiche del riferi
mento a Grozio nella polemica antifeudale
del nuovo ceto civile per l’unità e l’indipen
denza della realtà meridionale (p. IX), la ri
stampa anastatica è nata dall’intenzione di ri
conoscere un’identità al quasi sconosciuto
traduttore Porpora. La curatrice è stata bene
guidata nella consultazione dei giornali co-
piapolizze del Banco del santissimo Salvato
re, individuando, negli anni 1779 e 1780, le
prime testimonianze dei rapporti tra il tra
duttore e l’editore per la stampa dei primi tre
volumi dell’opera (pp. XVII-XVIII). A do
cumenti del marzo 1785 è, invece, da riferi
re la fine dei lavori per il quarto volume (p.
XIX sgg.), sottoposto agli intereventi del Sa
cro Regio Consiglio per le disattese richieste
delle licenze di stampa (pp. XXI sgg.). Tut
tavia, al di là dell’opportuno richiamo all’an
no di pubblicazione, il 1777, significativo per
la caduta di Tanucci, al quale Porpora dedi
ca la sua traduzione, senza, tuttavia, lasciare
alcuna testimonianza sui rapporti con lo sta
tista toscano (pp. XXVIII-XXIX), non sem
pre rilevanti per la storia della cultura meri
dionale tardosettecentesca sono le notizie
raccolte sul minore (se non minimo) Porpo
ra (p. XXIX), certo sconosciuto ai principa
li protagonisti della riflessione storico-giuri-
dica a lui contemporanea. La curatrice - che
del De iure napoletano ha rinvenuto un
esemplare nella Biblioteca della Facoltà di
Teologia di Napoli - si impegna molto e be
ne a ipotizzare una relazione dell’avvocato
napoletano con il chierico Giuseppe Maria
Porpora che avrebbe potuto introdurre la
traduzione italiana di Grozio (p. XXXI).
Tuttavia, si è sempre nel campo delle ipotesi e
non resta che il richiamo al solo (ma non irri
levante) quadro storico-culturale che fa da
sfondo all’iniziativa editoriale incoraggiata
dall’Arcivescovo di Napoli, Serafino Filangie
ri, nell’ambito di un complicato rinnovamen
to della cultura ecclesiastica a Napoli tra il
1776 e il 1782. È, infatti, in questi anni che la
circolazione delle tesi di Rousseau a sostegno
della «sovranità popolare» - opposta allo sti
le e alla politica del Tanucci (p. XXXVIII) -
si scontra con l’istanza riformatrice del Ge
novesi e della sua nascente scuola (pp.
XXXIII sgg.), con il recupero ‘cattolico’ di
autori protestanti, con gli emendati concetti
di ‘sociabilità’ e di diritto naturale fondati
sulla dottrina cattolica delYomnis potestas a
Deo (p. XXXVIII). Èil caso proprio del Por
pora che «mira a ‘riabilitare’ definitivamen
te presso la cultura cattolica (e forse anche
presso quella ecclesiastica) il De iure belli ac
pacis, prevalentemente conosciuto a Napoli,
tramite la versione ‘manipolata’ daJean Bar
beyrac» (p. XXXVII). Nessun commento
viene formulato sulle scelte teoriche e filolo
giche del traduttore di Barbeyrac. Se ade
guatamente formulate, esse avrebbero con
sentito non solo di spiegare le ragioni del
l’assai limitato uso di questa versione italiana
(poco citata e frequentata dai traduttori mo
derni del Grozio e, soprattutto, dei Prolego-
mena), ma anche di ritornare su luoghi spe
cifici della riflessione di Vico che, in celebri
pagine dell’Autobiografia, attribuisce la cau
sa del suo interrotto commento graziano al
«Gronovio, il quale le vi appiccò più per
compiacere a’ governi liberi che per far me
rito alla giustizia». Proprio al filologo e sto
rico olandese del diritto romano risale, ad
esempio, l’interpretazione dell’espressione
«prò sui intellectus modo», per commentare
la tendenza dell’uomo alla vita sociale, in un
luogo del De iure (§ VI dei Prolegomena) che
coinvolge l’analisi, comune a Vico e al suo
quarto «auttore», dei caratteri distintivi del