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AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
cato con il titolo Cittadinanza e formazioni
minori in G.B. Vico (Napoli, Metis, 1999), è
stato segnalato in questo «Bollettino»
XXXIII (2003), pp. 367-368.
44.
I linguaggi e la storia, a cura di A.
Trampus - U. Kindl, Bologna, Il Mulino,
2003, pp. 352.
Questo denso studio nasce dall’incontro
edalla discussione tra storici elinguisti, i qua
li - così spiegano i curatori nell’Introduzione
- ritornando alle fonti e ai documenti e con
siderando le testimonianze della cultura eu
ropea moderna e contemporanea, propon
gono un’attenta riflessione sul rapporto tra i
linguaggi e la storia, e si interrogano sulla re
lazione che vige tra la nascita e la trasforma
zione delle parole e il loro uso storico e sto
riografico.
I
saggi di Robert J. W. Evans (Il linguag
gio della storia e la storia del linguaggio, pp.
11 -53)eMario Alinei (Cos’ha da offrire la lin
guistica storica allo storico?, pp. 55-73) inau
gurano il dibattito, mettendo a confronto in
teressi e sensibilità differenti e verificandone
le ricadute nei rispettivi campi d’indagine,
quello storico e quello linguistico. Il contri
buto diJosé F. Medina {La «grammatica» nel
XVI e XVII secolo: alcune definizioni e alcu
ni tipi, pp. 75-98) approfondisce, invece, il
problema dell’uso delle grammatiche nella
cultura spagnola tra Cinquecento e Seicento.
DiegoVian (Leibniz eil concettodi«Deutsche
Sprache», pp. 99-139) esamina, tra gli scritti
di Leibniz, quei saggi che offrono una im
portante indicazione sulla nascita del pensie
ro linguistico tedesco e che valgono come
fonte storiografica per comprendere la situa
zione politica e sociale in Germania. Si trat
ta di tematiche e luoghi propri appartenenti
anche ad ambiti altri dall’area tedesca e po
stulati pure da non pochi pensatori, tra i qua
li l’A. ricorda giustamente Locke, Hume,
Dalgarno, Wilkins e naturalmente Vico, al
quale va l’indiscusso merito di essersi soffer
mato nella Scienza nuova «a considerare la
natura poetica delle lingue nella loro fase pri
mitiva, la fase del ‘canto’ e delle prime gran
di passioni, nella quale è implicita la facoltà
del linguaggio di mutare all’interno delle isti
tuzioni umane, soggette anch’esse a gradua
li cambiamenti» (p. 101). Di grande interes
se è il contributo di Hans W. Blom (Il con
cetto di libertà nelle teorie politiche giusnatu-
raliste del Seicento olandese, pp. 141-178), il
quale approfondisce l’evoluzione - determi
nata dal diritto naturale - della nozione di ‘li
bertà’ nell’Olanda del secolo XVII in lotta
contro la Spagna. Gerardo Tocchini (Mito,
religione, storia, linguaggio. Le origini dei ge
roglifici in Gianrinaldo Carli tra Vico e War-
burton, pp. 179-208) riflette invece sul fatto
che durante il secoloXVIII la discussione in
torno le origini e il significato dei geroglifici
- prima della loro decodifica su base scienti
fica - intendeva la storia della nascita del lin
guaggio come una ricerca sul senso storico
della società. L’A. affronta, pertanto, l'anali
si dei dibattiti settecenteschi sui linguaggi dei
segni attraverso alcuni scritti giovanili di
Gianrinaldo Carli, ascrivibili al biennio
1743-1744: si tratta di una traduzione della
Teogonia di Esiodo e di tre Premesse a altret
tante dissertazioni. Tali scritti, sebbene siano
espressione di posizioni tradizionali, tradi
scono una certa prossimità - riguardo i pro
blemi su linguaggio e nascita della scrittura -
ai luoghi di Vico e Warburton. La familiarità
con il mondo culturale veneto valse, proba
bilmente, a Carli l’opportunità di leggere la
Scienza nuova nell’edizione del 1725 e in
quella meno fortunata del 1730: «proprio
l’interesse per i primi recessi storicamente
avvertibili delle sterminate antichità postdi
luviane, ma soprattutto per la poesia e per le
dinamiche del linguaggio come fonti possi
bili di un sapere storico da ricercare [...], av
vicinavano almeno idealmente queste ricer
che del giovane Carli alle più recenti acqui
sizioni di Vico» (p. 183). Carli, infatti, nega
l’ipotesi dei geroglifici quali depositi di una
qualche sapienza sacra e riposta e li conside
ra, invece, una forma primitiva di scrittura,
comune da sempre a tutti i popoli: a soste
gno di tale opinione egli cita lo stesso esem
pio addotto da Vico, quello dello scita Idan-
tura. Di più, come aveva già fatto il filosofo
napoletano, anche Carli dà per certo che
presso i popoli d’America e della Cina la
scrittura geroglifica non nascondeva alcuna