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ENRICO NUZZO
la necessità’, sulla ‘logica del dovette’ - ancora più essenziale criterio, per­
ché essenziale ‘risultato’ peculiarissimo della meditazione vichiana, è, co­
me si accennava, quello consegnato alla proposta di individuare con sicu­
rezza forme ‘necessarie’di «tempi», «luoghi» e «guise» del
«naturale»
pre­
sentarsi dei fenomeni essenziali della storia delle nazioni umane: secondo
un fermissimo, eterno ordine «ideale» entro il quale i fenomeni, e i loro ca­
ratteri,
debbono
essere inseriti senza che facciano «sconcezza», «assurdo»3.
ci - Orazio, Seneca, Quintiliano, naturalmente Ulpiano (
Dig
., 1,2,
Inst.
, I, I, 1) - sarebbe in­
teressante seguire sistematicamente, pure in vista del nostro tema più determinato, il tragitto
della riflessione vichiana a partire dalle prime distinzioni chiarificatrici sul piano epistemico
elaborate da Vico tra «sapientia» e «scientia» da una parte e «prudentia» dall’altra, in rela­
zione al «divinum» ed all’«humanum». Si tratta di un tragitto complesso, che passa per una
serie di momenti meditativi e di testi: ad esempio attraverso la tripartizione, ancora largamente
tradizionale, della «sapientia» proposta nel
De uno
(speculativa «divinarum rerum contem­
platio», fisica «rerum in natura abditarum cognitio», civile «humanarum rerum prudentia»)
verso l’innovativa riformulazione dei compiti di ‘assistenza’ di una nuova «scienza delle divi­
ne ed umane cose naturali» nei confronti della «scienza delle divine ed umane cose civili»
(.
Sn25,
11, p. 985). Per la citazione del luogo del
De uno universi iuris principio et fine uno
,
CLXXXIII, cfr. G. Vico,
Opere giuridiche
, a cura di P. Cristofolini, Firenze, 1974, p. 269. Da
ora in poi citerò tale opera con l’abbreviazione
De uno
, e con l’abbreviazione
De const.
il
li­
ber alter
, vale a dire il
De constantia iurisprudentis.
3
Richiederebbero una trattazione più ravvicinata gli usi vichiani, in sostanza scambievoli, di
«sconcio» e «assurdo», di ciò che è in contraddizione, logica prima o più che fattuale, con l’or­
dine naturale delle cose umane (che è ordine dei loro «nascimenti» e sviluppi), e quindi, sot­
traendosi ad uno statuto di ‘compossibilità’, cade nella sfera dell’«impossibilità». Basterà qui di­
re che la scienza - che costantemente resta il sapere più alto, del «verum unum», di ciò che at­
tiene «ad summa» (G. Vico,
De nostri temporis studiorum ratione,
in
Opere,
cit., Ili, VII, pp. 110,
132; d’ora in poi
De rat.) -
già dal
Diritto universale
si atteggia a lavoro critico sul
«necesse est
»
(ad es.
De uno,
CXXVII, p. 149) nella storia del mondo civile, cioè «ragiona» dimostrando i mo­
di universali con i quali «gli uomini nel tempo oscuro
dovettero
operare»
(Sinopsi del Diritto uni­
versale,
p. 9, ma anche 13, anche qui il corsivo è mio; d’ora in poi
Sin.).
Da quel momento il di­
scorso epistemologico di Vico sarà chiamato ad esperire pienamente la sua pratica sul terreno del­
l’acquisizione di ‘verità di fatto’ necessarie, perché non smentibili come le uniche possibili. «Le
leggi e i fatti in dubbio devono riceversi che non facciano assurdo o sconcezza, molto meno im­
possibilità» (cfr.
Sn25,
92, p. 1033). La scienza, che è scienza rigorosa di cause universali, neces­
sarie, infine «nella serie de’ possibili» può pensare le uniche non contraddittorie «cagioni [...]
ond’escono gli effetti di questo mondo civile». In verità sono le «sublimi pruove teologiche» già
a indicare - con l’autorità del discorso ‘teologico’ (che però dal punto di vista propriamente del­
la scienza mantiene un sapore ipotetico) - i criteri della «facilità», «naturalezza», con cui opera il
perseguimento del «fine» provvidenziale della «conservazione del gener umano». Ma in effetti
sono le «pruove logiche» quelle che, operando con
«severa analisi»,
«nel
ragionare
dell’origini
delle cose divine ed umane della gentilità», pervengono a individuarne e definirne gli elementi
primi, «que’ primi oltre i quali è stolta curiosità di domandar altri primi, ch’è la propria caratte­
ristica de’ princìpi [...], ne spiegano le particolari guise del loro nascimento, che si appella ‘na­
tura’, ch’è la nota propissima della scienza»; determinano «l’eterne propietà» dei fenomeni con­
siderati, «le quali
non posson altronde esser nate che da tali e non altri
nascimenti, in tali tempi,
luoghi e con tali guise» (cfr.
Sn44,
343-347, pp. 549-551; il corsivo è mio). Naturalmente le pro­
cedure massimamente razionali del discorso scientifico si avvalgono particolarmente in Vico del-
1...,28,29,30,31,32,33,34,35,36,37 39,40,41,42,43,44,45,46,47,48,...402