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AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
scoperta del sentimento dell’infanzia - come
ha sostenuto Philippe Ariès in uno studio del
1960 - risale all’età moderna, ma che anche
quello che comunemente è definito «il senti­
mento dell’infanzia» non si identifica con
l’affetto per i bambini, ma corrisponde alla
consapevolezza di quelle particolari e tipiche
caratteristiche che distinguono l’infanzia
dall’età adulta. Rossi dimostra come sia indi­
scutibile che la storia dell’infanzia è anche
una storia di violenza, sopraffazioni e mal-
trattamenti, tanto che molti filosofi, già nel
Settecento, hanno fatto coincidere l’avvento
della civiltà con la soppressione della violen­
za contro i fanciulli. È a tale proposito che
l’A. riprende esplicitamente il pensiero di Vi­
co, il quale in un corollario della Scienza nuo­
va (Sn44, § 670), dopo aver ricordato l’edu­
cazione «severa, aspra, crudele» che i lace­
demoni impartivano ai loro figli, dichiara che
«le delizie, ch’or facciamo de’ nostri figliuo­
li fanciulli, fanno oggi tutta la dilicatezza del­
le nostre nature» (p. 17). Nelle pagine che se­
guono Rossi illustra come molte immagini
dell’infanzia appaiano legate alla filosofia
della storia e, in particolare, a tutte quelle te­
si sulla storia fondate sul presupposto di
un’analogia fra la vita del singolo individuo
e la vita della specie umana: «anche la storia
del genere umano, proprio come la vita del
singolo, sarebbe scandita in fasi o stadi: in­
fanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia» (p.
18). Il richiamo a Vico - anche in questo ca­
so - è evidente, tanto che, nonostante il ri­
scontro tra il mondo primitivo e l’infanzia ri­
salga ad Agostino e sia presente in molte pa­
gine straordinarie di Bernard de Mandeville,
per Rossi è soprattutto al filosofo napoleta­
no che si deve l’affermazione secondo la qua­
le per comprendere le vicende dei popoli e
delle nazioni ci si deve servire di ciò che si sa
sulla «crescita degli individui». Pertanto, co­
me si leggenellaScienzanuova (Sn44, §§ 186-
187), lo studio del modo di pensare dei bam­
bini dovrebbe dirci qualcosa sulla mentalità
dei primitivi e sulle caratteristiche del «mon­
do fanciullo»: «Il più sublime lavoro della
poesia è alle cose insensate dare senso e pas­
sione, ed è propietà de’ fanciulli di prender
cose inanimate tra mani e, trastullandosi, fa­
vellarvi come se fussero, quelle, persone vi­
ve. Questa Degnità filologica-filosofica ne
appruova che gli uomini del mondo fanciul­
lo, per natura, furono sublimi poeti» (ivi).
Dunque il ritmo della storia, quel «piano»
secondo il quale essa si compie, è il medesi­
mo della mente umana: le età degli dei, degli
eroi, degli uomini corrispondono alle tre fa­
si del senso, della fantasia e della ragione, se­
condo la nota formula vichiana secondo la
quale gli uomini «prima sentono senz’awer-
tire, dappoi awertiscono con animo pertur­
bato e commosso, finalmente riflettono con
mente pura» (Sn44, § 218). Ciò - chiarisce
FA. - vale sia per i singoli individui, sia per
l’umanità tutta, tanto che l’immagine del­
l’uomo delle origini è forgiata su quella del
bambino, sulla quale, a sua volta, si riflette la
figura dei primi uomini, le cui menti sostie­
ne Vico «di nulla erano astratte, di nulla era­
no assottigliate, di nulla spiritualizzate, per-
ch’erano tutte immerse ne’ sensi, tutte rin­
tuzzate dalle passioni, tutte seppellite ne’
corpi» (Sn44, § 378). Così, auna fantasia «ro­
busta» corrisponde un «debole» raziocinio,
tanto che gli uomini dell’età eroica sono
«semplicissimi quanto i fanciulli» (Sn44, §§
185, 408), i quali - a loro volta - secondo
Rossi sono molto simili a quei «selvaggi» an­
cora presenti fra noi.
Dopo i bambini, i sogni e i furori. L’A. -
nei tre capitoli che seguono - passa in rasse­
gna, tra gli altri, gli scritti sui sogni di Arte­
midoro, Sinesio da Cirene, Girolamo Carda­
no e Giovanni Keplero, mentre a proposito
dei furori - «eroici, bestiali, collettivi» - si ri­
chiama a Darwin e a Freud, ai cosiddetti
«teorici della psicologia delle folle», ai gran­
di critici dell’entusiasmo da Locke, a Shafte-
sbury, a Kant. Ed è proprio in quest’ultimo
capitolo che si riscontra un ulteriore richia­
mo a Vico, chiamato in causa - questa volta
- per la sua attuale lezione di metodo:
«Giambattista Vico riteneva che si dovesse
indagare, con lo stesso rigore, intorno alle
‘origini’ e intorno alle ‘perpetuità’ delle idee.
Anche nel caso dei furori collettivi, se ci spo­
stiamo all’indietro nel tempo, possiamo tro­
vare unapersistenza di temi e il ripetersi, dav­
vero impressionante, di riflessioni» (p. 152).
[A. Scogn.]
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