AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
387
Tomlinson, nel ’700 una dimensione pretta
mente ‘europea’ prende forma in un ambito
della retorica in cui il canto costituisce la for
ma fondamentale di discorso, gli sviluppi
della polifonia e del contrappunto contri
buiscono alla costruzione di una categoria
estetica in cui i valori primari sono «raffina
tezza, decoro, equilibrio e buon gusto» (p.
347), e l’armonia giunge a dominare la melo
dia. Rousseau è il punto di riferimento, mal’A.
è convinto che la critica a Rameau nasconda
un senso più profondo, per cui il filosofo sviz
zero diventa ‘responsabile’ nelT'addomestica-
re’ il canto entro il concetto di musica e tra
disce involontariamente la posizione assunta
da Vico nei confronti delle primitive forme
poetiche, in quanto sostiene che la melodia è
un segno di qualcosa, la cui virtù risiede, al
meno in parte, nella struttura delle sue rela
zioni semiotiche. Come l’A. fa giustamente
notare, uno dei punti più originali (e più du
revoli) della poetica vichiana è l’asserzione
per cui le forme poetiche primitive non era
no analogicamente concepite: il linguaggio si
articola attraverso gli eroi del lessico omeri
co non quando un uomo è detto essere come
Ulisse, o essere un Ulisse, ma piuttosto quan
do egli semplicemente èUlisse. Lo stesso Bo-
turini, secondo Tomlinson, nella sua appli
cazione delle formule storiografiche vichiane
all’esperienze indigene e coloniali del Messi-
co si macchia dello stesso tradimento verso
Vico. L’A. suggerisce che, mentre per Rous
seau e Boturini il canto è la rappresentazione
della passione, per Vico rappresenta la costi
tuzione della passione, anzi, la costituzione
della possibilità della passione come fenome
no che si modula socialmente.
[D. M.]
77.
TORRINI
Maurizio, Cartesio e l’Italia:
un tentativo di bilancio, in «Giornale critico
della filosofia italiana» XXI (2001), pp. 213-
230.
Una competente e ragionata rassegna
sulla questione del cartesianesimo italiano
come problema storiografico autonomo, va
le adire sganciato storiograficamente dalla fi
losofia vichiana considerata come punto di
arrivo ultimo. La questione si esprime così:
esiste nella letteratura specialistica un pro
blema del cartesianesimo italiano avulso dal
la trattazione della filosofia di Vico? La con
statazione che nessuna monografia specifica-
mente dedicata ai cartesiani italiani viene
prodotta fino alla fine degli anni Cinquanta
individua una via alternativa d’indagine,
quella generale della storia del cartesianesi
mo e della storia della filosofia che parte da
Brucker passando per Fardella, Buonafede,
Bouillier, Maugain.
Posto a parte merita il capitolo su Croce
e i suoi seguaci, dove, sebbene il pensiero di
Vico venisse presentato come critica e anti
tesi al pensiero cartesiano, non si faceva al
cun cenno al cartesianesimo e ai cartesiani;
solo apartire dagli scritti composti tra il 1924
e il 1929, dalla Storia del Regno di Napoli al
la Storia dell’età barocca in Italia, si poteva
rinvenire una valutazione diversa del carte
sianesimo. «Fu necessario cioè, anche per
Croce, uscire dall’ambito strettamente vi
chiano, anche se Vico rimase pur sempre la
pietra di paragone e la prospettiva, anzi, l’u
nica prospettiva in cui situare il pensiero pre
cedente equello futuro» (p. 220). Proprio nel
tentativo di collocare adeguatamente Vico
nel suo contesto, Croce dipinge il cartesia
nesimo italiano come frutto dell’incontro
con 0 pensiero rinascimentale, processo al
culmine del quale compare il Vico senza Car
tesio.
Sempre all’interno dell’esperienza rina
scimentale, ma nell’individuazione del forte
punto di rottura, si situa la Storia dei generi
letterari italiani di Eugenio Garin che, rico
noscendo un ruolo particolare alla scienza e
agli scienziati, cambia di segno al problema
del cartesianesimo italiano. «Ora poteva di
ventare finalmente importante non tanto sa
pere quanto di Cartesio c’era in Cornelio o
in Borelli, ma piuttosto se nei problemi che
essi intendevano risolvere, negli interrogati
vi cui intendevano rispondere, la filosofia di
Cartesio giocasse un ruolo e quale» (p. 224).
Il vero e proprio cambiamento di prospetti
va viene intravisto da Torrini nella pubblica
zione del volume di B. De Giovanni su F.
D’Andrea (1958) e l’Introduzione a G. B. Vi-