L'IMMAGINARIO NATURALISTICO
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Penso, dall’altro lato, all’aspetto ‘universalmente fattuale’ - per usa
re un’espressione che ripete in qualche misura l’arditezza della costitu
tiva ‘ossimoricità’ di tanta concettualizzazione vichiana - che permette
l’applicazione e la determinazione (ma in effetti già la prefigurazione) del
criterio formale del «dovette» essere delle fondamentali «cose» del mon
do civile, del loro non potere essere altrimenti, «tali e non altre», di quel
la tale «natura» loro, che «altro non è che nascimento in certi tempi e
con certe guise», secondo celebri espressioni vichiane4. Mi riferisco cioè
ad una sorta di ‘forma universale del fattuale’, di ‘figura delle figure’ che
rende
defacto
possibile l’individuazione di un ordine necessario (la «sto
ria ideale eterna») e assieme le configurazioni fondamentali dei conte
nuti determinati sui quali interviene la scienza sulla base dei suoi criteri.
Ebbene, si può sostenere che un momento assai importante, se non
la chiave di volta, del reperimento fattuale dell’universalità nei fenome
ni storici (e della struttura metafisica della «mente» umana) sta nell’a
dozione di un ‘modello naturalistico’, di un paradigma dello sviluppo
naturale secondo sequenze necessarie.
Il paradigma della spiegazione di insiemi vastissimi di fenomeni storici
sulla scorta di un criterio essenziale (operi poi esso esplicitamente o impli
citamente) fondato sull’individuazione nel mondo storico -di elementi, ca
ratteri, semplici, seguiti poi dai loro «nascimenti» ai loro sviluppi, al loro
«spiegarsi» e mutarsi, è in ultimo un paradigma della spiegazione del mon
do storico umano secondo ciò che va dal semplice al complesso in ubbi-
l’apporto delle «facoltà ingegnose» per individuare nella serie dei possibili l’unica possibilità che
si sottragga ad elementi di ‘sconcezza logica’. Si veda ad es.
Sn44,
585, p. 699: «né, fra tutti i pos
sibili umani, [...] si può
immaginare
in altra guisa che questa» (il corsivo è mio).
Ma sui temi relativi alla meditazione vichiana attorno al ‘necessario’, alT'impossibile che
non’, quindi sulla proposta critica di una decisiva funzione assunta da una ‘logica del dovet
te’ nell’elaborazione ed applicazione della matura riflessione epistemica vichiana, sono co
stretto a rinviare a diversi miei lavori: tra i più recenti si vedano in ispecie E. Nuzzo,
Le logi
che dell’impossibile e del necessario. Vico e la decifrazione dei tempifavolosi attorno al primo
'700,
in «Bollettino filosofico» XV (1999) 2, pp. 205-33; Id.,
Die Logiken der Unmòglichen
und des Notwendigen. Vico und die Entzifferung der ’sagenhaften Zeiten’zu Beginn des 18.
Jahrhunderts,
in
Die Hermeneutik im Zeitalter derAufklàrung,
hrsg. von M. Beetz und G. Cac
ciatore, Kòln-Weimar-Wien, 2000, pp. 287-309; Id.,
Tra ordine della storia e storicità. Saggi sui
saperi della storia in Vico,
Roma, 2001, specie per le pp. 57-108.
4
Sn44,
147, 148, p. 500. E naturalmente si ricordi il luogo altrettanto giustamente cele
bre, ma non sempre adeguatamente interpretato e valorizzato: «Quindi regna in questa Scien
za questa spezie di pruove: che tali
dovettero, debbono e dovranno
andare le cose delle nazio
ni quali da questa Scienza son ragionate»
(ibid.,
348, p. 552). Il corsivo è mio, ma rende assai
a malapena l’evidenziazione che l’autore affidò al grosso maiuscolato introdotto nell’ultima
versione della sua grande opera (cfr.
Principi diScienza Nuova..
Napoli, nella Stamperia Mu-
ziana, 1744, p. 124; testo che il lettore moderno può leggere anche nella ristampa anastatica
a cura di M. Veneziani, Firenze, 1994).