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ENRICO NUZZO
Le grossa difficoltà nelle quali però si trova in questo momento la ri
flessione vichiana nel temporalizzare l’intera vicenda dell’umanità (che
qui - si badi - viene considerata a partire dal peccato originale, e non an
cora oggetto di una ricostruzione per la massima parte pertinente alla
storia profana dopo il diluvio) secondo un simile ordine di sviluppo del
la mente umana si rivela proprio nel carattere quadripartito che esso as
sume. Infatti la partizione nelle età della fanciullezza, dell’adolescenza,
della maturità e della vecchiaia tiene insieme entro un antico schema vec
chie e nuove preoccupazioni ed impostazioni del pensiero vichiano. Per
rendersi conto di ciò basta guardare alle faticose, zoppicanti, corrispon
denze che cerca di istituire tra età della mente umana, loro facoltà o sa
peri, età propriamente temporali («secula»), e forme del diritto20.
Di lì a non molto, già a partire dal
De constantia
, il filosofo napoleta
no, portando decisamente lo sguardo sui «tempi oscuri e favolosi» del
le vicende delle «nazioni gentili» successive al diluvio universale, e quin
di collocando l’assoluta soggezione ai sensi nella condizione dell’erra-
mento nella gran selva della terra degli uomini divenuti «bestioni»,
avrebbe ridisegnato il laboriosissimo processo di riconquista progressi-
20
L’età dei «pueri», connotata dall’assoluta soggezione alle passioni, alla «libido», e quin
di dall’attitudine alla «violentia», corrisponde ai tempi di vita solitaria e carente di ogni bene
successivi alla caduta, e dunque di un diritto naturale che esprimeva il suo «iustum» in tale
condizione di passionale e violenta tendenza all’autoconservazione. L’età degli «adolescen
tes», connotata dai poteri della «phantasia» (accompagnata dall’«ingenium»), corrisponde a
quel «seculum poetarum» nel quale furono rinvenute le cose «necessaria, utilia, iucunda»,
proprie «ad civilem vitam», e a un diritto nel quale lo «iustum» doveva passare per le «fabu
lae» con le quali i «primi optimi» contrastarono l’empietà della moltitudine degli uomini sen
za Dio
(De uno,
CCXIX, CCXX, p. 339). L’età dei «viri», connotata dalla «ratio», corrispon
de al «seculum» in cui si affermò la «sapientia» e i «philosophi humanae vitae officia edo
cuere», e il diritto potè giungere a perfezione manifestandosi con i caratteri della «ratio aper
ta» e della «generosa veritas». Infine l’età dei «senes» viene semplicemente connotata da Vi
co sulla scorta del carattere dell’esercizio di una «solida prudentia»
(ibid.,
CCXIX, p. 339).
Come si vede, le difficoltà di Vico venivano da più parti: in ispecie dall’impossibilità di fare
corrispondere adeguatamente ‘età naturali’ e diverse forme dell’umano (in ispecie le tre for
me del diritto) che rimanevano tra di loro in più casi sfalsate; dalla contrazione, nell’unico
tempo dell’adolescenza, dell’esercizio delle ‘facoltà ingegnose’ e soprattutto di tutta la dina
mica della complessa fenomenologia dei «necessaria, utilia, iucunda»; dalle esigenze di man
tenimento di vecchie preoccupazioni e impostazioni (come documenta il nesso vecchiaia-pru-
denza) o di conciliarne altre (come attesta il nesso tra puerizia e temporalizzazione della tra
dizione del «ius naturale prius» nella condizione dell’umanità successiva alla caduta); etc.
Tralascio di prendere in esame un’altra importante figura della temporalità, che nel
De
uno
assume il suo massimo vigore. Si tratta della figura del «circolo» (su cui cfr. già ad es.
De
opera proloquium,
28, p. 35) tra la «iustitia aeterna» divina come principio e fine del proces
so attraverso il quale il diritto trova espressione, forma, prima nella «auctoritas monastica»
(che ancora, si è visto, è assegnata allo stato exlege), poi nella «auctoritas oeconomica», infi
ne nella «auctoritas civilis»: cfr. il «caput ultimum» del
De uno,
p. 341.