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ENRICO NUZZO
Preferisco invece passare ad un assaggio di un altro momento, già so­
pra preannunciato, non meno importante, forse il più importante, delle
non indifferenti tracce di un immaginario naturalistico in Vico; un mo­
mento in effetti strettamente connesso a quello del processo che si muove
tra il fanciullesco e il senile, ma che logicamente e geneticamente lo pre­
cede: il momento centrato cioè sul nesso tra potenza-atto, tra latenza e svi­
luppo e pienezza della forma. Un assaggio di tale tema, di tale immagina­
rio - espresso massimamente nelle figure dei «semi eterni» del vero e del
giusto seppelliti, ma non scomparsi, anche nella natura umana più ‘inferi-
nita’- permette, a mio avviso, allo stesso tempo tanto di approfondire i se­
gni delle presenze del ‘naturalismo’ in Vico quanto di contestare radical­
mente le più forti interpretazioni del suo pensiero in una chiave di ‘natu­
ralismo’ sostanzialmente e duramente eterodosso: cioè nella chiave di
un’umanità, di una ‘mente’ che è interna alla natura e dalla natura proce­
de. Al contrario - si può argomentatamente sostenere - proprio le figure
di una metaforica organicistica attivata per rappresentare i caratteri e la
genesi della natura umana, denunziano gli elementi di una sia pur pecu­
liarissima, e fecondamente innovativa, metafisica di matrice cristiana, ele­
menti che si oppongono fermamente a prospettive critiche di tenore ‘na­
turalistico’ come ‘ermeneutico’, o, se si vuole, ‘onninaturalistico’, ‘onnier-
meneutico’, come anche ‘onnistoricistico’;il che non significa negare il fon­
damento e la piena produttività di letture problematicamente storicistiche
di Vico che mirino a evidenziarne in tal senso caratteri ed eredità.
Sul tema generale della ‘natura’in Vico, entro i complessi e multiversi
tracciati della ‘modernità’, v’è una corrente in questa dove il pensatore
napoletano appare davvero di casa, alla quale comunque come pochis­
simi ha contribuito a dare consistenza. E la linea - basata sulla pur non
univoca ‘svolta antropologica’, ‘umanologica’, della modernità - del ri­
conoscimento della natura determinata, storica, delle imprese conosciti­
ve ed etiche dell’uomo, della rinunzia alle rassicurazioni antiche del­
l’ontologia e della metastoria, e quindi anche di una responsabilità etica
dell’uomo affidata ad una dimensione di intrinseca problematicità.
Rispetto a questo grande, e non consumato, lascito della ‘modernità’,
compito critico non di poco conto risulta però quello di investigare fino a
che punto il filosofo napoletano stia davvero dentro questa ‘modernità’,
quanto sia capace di sostenere la sfida, terribilmente impegnativa, che
quella richiede: quanto, innanzitutto, la sua «filosofia senza natura», al­
meno nel senso del disinteresse alla natura fisica, sia anche una ‘filosofia
senza naturalismo’. E quest’ultimo il punto sul quale finora ho comincia­
to qui a muovermi e sul quale vorrei continuare a dire qualcosa saggiando
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