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MONICA RICCIO
te, ad esempio, anche in Pagano. Certo ora, a Grimaldi, preme piuttosto
guardare da vicino il passaggio dell’Europa - e dell’Italia - dalla barba
rie feudale alla civiltà ‘moderna’. Sembra però che rimanga un’incertez
za tra la lettura della storia secondo uniformità ed universalità esemplare
- e qui Vico si fa in primo piano - ed una lettura invece dimentica di que
sta uniformità del corso delle nazioni, e dimentica anche di una chiave
forte di lettura della storia, e dei suoi rivolgimenti. Costituisce forse, in
questo senso, un altro piccolo indizio la citazione di poco successiva, in
nota11, della degnità XCII della
Scienza nuova
1744: «I deboli vogliono le
leggi, i potenti le ricusano, gli ambiziosi per farsi seguito le promuovono;
i Principi, per uguagliar i potenti co’ deboli, le proteggono». La degnità
prosegue, nel testo vichiano, con una spiegazione densa di significato, e
vorrei citarne qualche stralcio. «Questa degnità» - dice Vico - «per la pri
ma e seconda parte, è la fiaccola delle contese eroiche nelle repubbliche
aristocratiche, nelle qual’i nobili vogliono appo l ’ordine arcane le leggi
[ ...] » (cpv. 284). «Questa stessa degnità, per la terza parte, apre la via agli
ambiziosi nelle repubbliche popolari di portarsi alla monarchia, col se
condare tal desiderio naturale della plebe, che, non intendendo univer
sali, d’ogni particolare vuole una legge» (cpv. 286). «E questa degnità me
desima per l’ultima parte è la ragione arcana perché, da Augusto inco
minciando, i romani prìncipi fecero innumerabili leggi di ragion privata
[...]» (cpv. 287). Non c’è attenzione da parte di Grimaldi verso questa lun
ga precisazione che è anche un’articolazione essenziale al disegno vichia
no; non è raccolta, da Grimaldi, la complessa ‘dialettica’ tra arcano e dear-
canizzazione delle leggi, legata strettamente, per Vico, all’evoluzione so
ciale e istituzionale, e ai conflitti socio-politici. La parte ‘generale’ della
degnità, citata in nota, è invece immediatamente seguita, nella pagina gri-
maldiana, da una sorta di suggello esplicativo: «Ecco precisamente la sto
ria dello sviluppo delle forze morali delle leggi»; non può esserci, mi sem
bra, scarto più evidente rispetto al testo vichiano, proprio perché parte
dalla sua trascrizione letterale.
Non è poi del tutto chiaro cosa questi concetti vichiani siano chiamati
a testimoniare; sembrerebbe della diversa, ma non dissimile nel peso,
ineguaglianza politica nelle nazioni barbare e negli stati civili. Le leggi
civili non si evolvono con le forme sociali - come invece, notoriamente,
in Vico - ma intervengono dopo, semplicemente a ‘moderare l ’appa
renza’ dell’ineguaglianza. E se viene ribadito più volte che l’inegua
glianza politica è fondata sulle leggi, non viene, di queste ultime, mini
mamente esaminato né il punto di innesto né il nesso forte con l’evolu-
11
Ibid.,
pp. 34-35, nota 2.