LETTURE DEL CONFLITTO SOCIALE
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zione sociale e politica; tutt’al più, si torna sempre di nuovo ad aggan­
ciare, senza ulteriori specificazioni, e quindi a ridurre, l ’ineguaglianza
politica - e le leggi che la determinano - all’ineguaglianza economica, al­
le differenti ricchezze acquisite. L’ambito politico, anche storico-politi-
co, è eluso sempre di nuovo.
Certo il taglio dell’opera giustifica in parte quest’elusione, come la giu­
stifica in parte l’assunto teorico e metodologico di fondo, quello di evita­
re mere astrazioni e di attenersi all’elemento fattuale. Va in questa dire­
zione il richiamo ulteriore, a proposito della natura dei governi e dei loro
mutamenti, al peso e al numero infinito delle circostanze da considerare,
e dunque effettivamente considerabili. C’è però nella parte dedicata all’i­
neguaglianza fisica maggiore ampiezza e compattezza nella costruzione del
discorso, ed è, il discorso sul ‘naturale’ antirousseauiano, decisamente per-
vasivo rispetto agli altri, in particolar modo rispetto al discorso sul politi­
co. La preoccupazione di dimostrare la conservazione della naturale e fi­
sica diseguaglianza tra gli uomini, pur mutata con il crescere progressivo
dei bisogni e nelle diverse forme storiche di associazione, domina e so­
stiene l ’intero discorso sull’ineguaglianza politica affrontato in questa ter­
za parte dell’opera. Così, pur se spesso richiamata, sfuma e perde la sua
presa forte la teoria dell’uniformità del corso delle nazioni, di sicura ma­
trice vichiana. Manca la fiducia, la forza unificante e coraggiosa della filo­
sofia della storia vichiana - sostenuta, certo, dalla Provvidenza - che af­
fronta davvero le fasi, i mutamenti, i conflitti. Come manca, naturalmen­
te, la forza unificante di un paradigma, quello romano. Nella ricostruzio­
ne delle quattro epoche delle «Nazioni barbare» non c’è, di conseguenza,
alcun legame necessario tra stadi evolutivi e forme di governo12, come in­
vece in Vico. Ma anche questo è un segno di tempi mutati. Cade infatti, in
questo scorcio di secolo, almeno nella cultura italiana e meridionale, l’at­
tenzione precipua verso le forme di governo. Da una parte c’è infatti l’ac­
cettazione della monarchia come il governo reale ed esistente, ma modifi­
cabile attraverso le riforme. Dall’altra, si estingue definitivamente il ‘mito’
della repubblica e la democrazia si colloca a distanza siderale, nella pura
astrazione. Naturalmente tutto cambierà di colpo di lì a poco; ricerche sul
vocabolario politico italiano del triennio rivoluzionario 1796-1799 hanno
mostrato quanto parole come ‘repubblica’ o ‘democrazia’ balzassero nuo­
vamente in primo piano. Si sarà però, allora, definitivamente lontani dal­
la lezione vichiana sul corso delle nazioni.
Tornando al testo di Grimaldi, del quale, anche in relazione al Vico,
molto altro si dovrebbe dire, vorrei solo, ancora, dare citazione di un bre-
12 Cfr., ad esempio,
ibid.,
pp. 80-81.
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