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ALESSIA SCOGNAMIGLIO
nell’analisi: così all’interno dei sistemi legislativi, per Vico, soltanto l’a
nalisi può fare emergere i due elementi dai quali essi sono composti. Ta
li elementi sono la
ratio
e 1’
auctoritas:
l ’uno ha il carattere della peren
nità, l’altro invece è «caduco e transitorio». A tale assunto, per i fini di
questo discorso, è necessario saldare una tematica onto-teologica, se è
vero - come lo è per Vico - che « [ ...] il diritto naturale è la causa, è l ’i
dea del vero, la quale ci dimostra il vero Iddio. Dunque il vero Iddio,
principio della vera religione, è ugualmente principio del vero diritto, e
della vera giurisprudenza»3. Stabilire il principio del diritto equivale per
Vico, nel
De uno,
non solo a aprire un’indagine che lo porti a fissare in
primo luogo il principio assoluto per poi, partendo da esso, ricollegare
l ’origine del diritto a quella della mente umana, ma corrisponde anche a
uno studio sull’eterno sforzo compiuto dall’uomo per riportare dentro
la propria esistenza finita il modo dell’ordine universale, e cioè il diritto.
Vico ricostruisce allora la nascita del diritto, inteso come forma ‘circola
re’ e come vita, proprio per rinvenirne i legami oltre che con il principio
assoluto, anche con i processi storici e le forme della vita pratica.
A partire dalla
Sinopsi delDiritto universale
e dal
De Opera Proloquium
il concetto di ordine assume una preminenza assoluta: è, infatti, nell’ordi
ne che si stabilisce l’impianto del
vero
e del
certo,
ed è l ’ordine a racchiu
dere in sé il problema ontologico insito nel
De uno4.
L’ordine delle cose -
3
OG,
p. 33
[De uno, De Opera Proloquium,
24].
4 S. Otto definisce Vico «pensatore di metodo e metafisico», e individua nel trascendentale
l’unica condizione di possibilità data all’ordine: «Il
De uno
verrebbe malinteso ‘storicisticamen
te’ se non si rispettasse e non si utilizzasse questo suo codice filosofico-trascendentale - della co
stituzione dell’ordine del diritto come
vero ordine.
Con questa chiave del codice Vico apre l’ac
cesso ad una riflessione fondamentale sulla ‘ragionevolezza’ trascendentale del diritto, senza in
tal modo dimenticare la ‘sensibilità’ di questo o la sua concretizzazione storica passibile di esse
re rinvenuta» (S.
O
tto
,
Giambattista Vico. Lineamenti della sua filosofia
[Giambattista Vico.
Grundziige seiner Philosophie,
Stuttgart-Berlin-Kòln, 1989], tr. it., Napoli, 1992, p. 100). Più in
generale per il tema dellYWo si rinvia allo studio di G.
CARILLO,
Vico. Origine e genealogia del
l’ordine,
Napoli, 2000, in partic. sul
Deuno
le pp. 77-105. Ai fini del nostro discorso la sottile ana
lisi testuale di Carillo apre stringenti problematiche circa il valore da attribuire all’ordine in rap
porto al principio di convertibilità del vero e del fatto, posto da Vico nel
De antiquissima-.
«E in
negabile che, con la sua vistosa insistenza sul tema semantico dellYWo, il
Diritto universale
in
troduca un nuovo criterio gnoseologico, riconducibile, in prima approssimazione, all’identità del
vero con l’ordine e alla corrispondenza tra ordine naturale e logico. Resta da vedere se il nuovo
criterio si affianchi al
verum-factum,
saldandosi a esso, oppure si ponga come criterio alternativo,
inconciliabile con il primo e, come tale, rivelatore di un diverso approccio di Vico ai presuppo
sti generali della scienza. Non è un problema da poco: dalla sua soluzione dipende la possibilità
di avanzare una tesi interpretativa che colga nel
Diritto universale
i primi sintomi di una crisi del
verum-factum
destinata a perdurare e della quale la
Scienza nuova
rappresenterebbe il compi
mento. È, in ogni caso, difficile pensare a un’‘impermeabilità’, a un’insensibilità, del
verum-fac-
tum
alle vicende dell
’ordo;
in altri termini è improbabile che Vico si limiti a giustapporre i due