RELIGIONE E DIRUTO NEL
DE UNO
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spiega pertanto Vico - è immutabile e eterno5, esso di conseguenza è ema
nazione di una
mente infinita,
di una ragione eterna, la sola che possa fon
dare il carattere perenne della verità e rivendicare la creazione di un’idea
che abbia insito, in sé, il grado estremo di universalità:
[...] Il vero nasce dalla conformità della mente coll’ordine delle cose, ed
il certo è prodotto dalla coscienza assicurata dalla dubitazione. Appellasi ed
è ragione quella conformità coll’ordine delle cose, perciò se è eterno l’ordi
ne delle cose, è eterna la ragione la quale ci porge l’eterna verità6.
L’ordine in quanto
eterno
determina una conseguenza di estrema im
portanza sotto il profilo onto-teologico preso qui in esame: come ribadisce
Vico solo una ragione eterna può essere la fonte «ex qua verum aeternum
est», e solo una ragione certa - non probabile - può fondare una scienza
vera perché oggettiva. Le implicazioni che derivano da tale assunto sono
notevolmente complesse e possono essere discusse e chiarite grazie ai luo
ghi iniziali del
De uno
, nei quali si percepisce chiaramente uno slittamento
del discorso da un ambito filosofico a un piano più strettamente teologico7.
E proprio in queste poche pagine che è possibile istituire un confronto tra
Vico e la tradizione cartesiana8, visto che il problema reale che il filosofo
principi, senza considerare il rischio di una contraddizione interna»
(ibid.,
p. 78). Si vedano inol
tre, a tale proposito, anche le osservazioni di Badaloni: «E possibile allora sostenere che il noc
ciolo del
Diritto universale
si riduce alla scoperta del
certum-verum
restando accantonato il bi
nomio del
verum-factum
? A noi sembra di no, e precisamente per la ragione che è proprio que
sto secondo binomio a rendere accessibile il campo di ricerca del primo e ad attribuirgli il signi
ficato rivelatore di una verità più profonda» (N.
B
adaloni
,
Sulvichianodiritto naturale dellegen
ti, Introduzione
a
OG,
p. XXXVIII). Fassò, di contro, rileva che il criterio di conversione del ve
ro e del fatto nel
Diritto universale
è posto
in limine,
mentre è solo con la
Scienza nuova
del 1744
che Vico si richiama compiutamente a tale principio (G.
FASSÒ,
Vico e Grozio,
Napoli, 1971, pp.
60-61, ma più in generale cfr. pp. 57-78).
5 OG, p. 49
[De uno,
§ XVIII],
6
Ibid.,
p. 34
[De uno, De Opera Proloquium,
31],
7
Ibid.,
pp. 36,38
[De uno, Assumptiones metaphysicae
§§ I-V]; pp. 40,42
[De uno, Prin
cipium,
1-3]; pp. 739,741
[Notae
I, IV, 2-IX, 7].
8Vastissima è la letteratura critica sulla presenza in Vico di Descartes e del cartesianesimo; tra
essa in partic. si vedano i seguenti e più recenti studi: M.
GIORDANO,
Implicazione e tempo: di
scorso sul metodo. Vico e Descartes,
in
Giambattista Vico. Poesia, Logica, Religione,
a cura di
G.
Santinello, Brescia, 1986, pp. 242-258; M.
AGRIMI,
Descartes nella Napolidifine Seicento,
in
De
scartes: il metodo e i saggi. Atti del Convegno per il 350° anniversario della pubblicazione del
Di-
scours de la Méthode
e degli
Essais, a cura di
G .
Beigioioso,
G .
Cimino, P. Costabel e
G .
Papuli,
Roma, 1990, pp. 545-586; ID.,
NotesullepolemicheantifrancesidiVico,
in «Studi filosofici» XVIII
(1995), pp. 243-269;
C. CASTELLANI,
Metafisica della mente e verum-factum. Un confronto di Vico
con Cartesio,
in
Vico eGentile,
a cura diJ. Kelemen eJ. Pai, Soveria Mannelli, 1995, pp. 75-85; E.
Nuzzo,
La«critica disevera ragione». VicoeV'ermeneutica’deitempifavolosiattornoalprimo '700,
in Id.,
Tra ordine della storia e storicità. Saggi sulla storia dei saperi in Vico,
Roma, 2001, pp. 57-