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GIUSEPPE CACCIATORE
lità delle idee morali e storicità delle pratiche politiche ed esistenziali)
egli aveva saputo affiancare una rigorosa ed innovativa rilettura della
scienza sociale ed economica di Marx (fondamentale resta il libro forse
più complesso e difficile di Badaloni, quello del 1980 sulla Dialettica del
Capitale), proponendo una originale e intensamente discussa rielabora­
zione dello storicismo in una chiave scientifica e materialistica (mi rife­
risco naturalmente al suo famoso libro del 1962 Marxismo come storici­
smo, ma anche all’altro importante volume di ‘svolta’ del 1972, Perii co­
muniSmo. Questioni di teoria), la quale, comunque, non rinnega mai il
punto d’awio, che era di Labriola come di Gramsci, e cioè la prevalen­
za della trendenzialità sul determinismo, della possibilità sulla necessità.
Si trattava, cioè, di quella peculiare curvatura storicistica del marxismo
italiano alla quale lo stesso Badaloni aveva offerto un significativo ap­
porto, e che consisteva essenzialmente - come egli stesso ricorda nella
intervista curata da Vittoria Franco e apparsa nel 1999 su «Iride» - nel­
la continua capacità e volontà di misurarsi con la storicità degli eventi,
facendo appello alla coscienza critica. Era, d’altronde, questo convinci­
mento che consentiva a Badaloni di definire e valorizzare una idea filo­
sofica e politica del marxismo teorico italiano non dogmatica, preoccu­
pata sempre di aderire, pur senza arrendersi al realismo dell’esistente,
nelle analisi come nelle ipotesi, alle situazioni della vita storico-materia-
le e della società. Per questo egli poteva coerentemente restare fino al­
l’ultimo ‘filosofo comunista’, convinto che la fedeltà ad una visione cri­
tica e non assolutizzante della storia potesse alla fine fare incontrare le
ragioni della rivoluzione sociale e quelle della libertà degli individui.
E, tuttavia, si commetterebbe un grave errore di interpretazione e di
comprensione dell’opera di Badaloni, se la si riducesse soltanto alla pur
indiscutibile capacità di tenere insieme il profilo accademico-filosofico
e quello prassistico-politico. D ’altronde, basta scorrere la sua corposa bi­
bliografia e rileggere i suoi libri più noti (La filosofia di Giordano Bruno
del 1955, la Introduzione a Vico del 1961, la Introduzione a Vico del 1984
nella collana laterziana dei Filosofi, Tommaso Campanella del 1965; Gior­
dano Bruno. Tra cosmologia ed etica del 1988; Gramsci: la filosofia della
prassi del 1981) per capire che la dimensione civile della filosofia italia­
na non era solo la rivendicazione dell’eredità umanistica e romana (la po­
litica e il diritto, per intenderci) ma era l’attenzione alla storicità con­
creta, ai profili dell’esistenza umana nelle sue esperienze sociali, alla que­
stione - come mostra la sua articolata e non facile interpretazione di Vi­
co - della socialità collocata tra la attualità storico-naturale e un model­
lo di razionalità flessibile, capace di trascorrere tra strutture della men­
te e attività creativa delle passioni e del conatus.
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