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PAOLO CRISTOEOLINI
materiali. Quanto al riconoscimento, la scrittura vichiana vi esprime as
sai più di fierezza che di umiliazione. Nella supplica, prima di entrare nel
merito della richiesta formulata, questa sì, nei toni della prostrazione che
si addicevano a questo genere di missive, Vico delinea con energia e con
orgoglio tutto il corso dei suoi studi e dei suoi scritti; non manca di sot
tolineare, sì, quale lustro da questi provenga alla dinastia del monarca,
ma soprattutto richiama l ’attenzione sulla
Scienza nuova
che ora, «aven
dola ridotta in forma d ’un perfetto sistema, e di molto anco accresciuta,
l’ha ultimamente data fuori in Napoli dalle stesse stampe del Mosca»8.
Dedicando ora la traduzione del Belli al figlio del viceré, Vico ricor
da come questi si dilettasse « d ’intorno a materie di diritto naturale del
le nazioni» e come gli avesse gentilmente detto «d i averne in Roma ve
duto un di lui libro, che ne trattava; e sì gli diede l’ardire di presentar
glielo il giorno appresso; ed Ella con grandezza d ’animo gradinne il pre
sente, ed onoronne l ’Autore». Si tratta chiaramente non, come vorreb
be Croce9, dell’edizione del 1725, che per Vico a quel punto è vecchia,
ma dell’ultima appena sfornata, nel 1730 appena trascorso. Il collega
mento fra due testi atipici, come sono la supplica al padre e la dedica ma
scherata al figlio, mette in evidenza più che l’avvilimento o il ripiega
mento sul passato, lo slancio che Vico, pur in tutte le sue difficoltà ma
teriali, sta vivendo in un momento per lui rigoglioso, il 1731, quando le
scontentezze e le autocorrezioni cessano tutte ad un tratto e fanno po
sto solo a un grande fervore di miglioramenti e abbellimenti dell’opera,
che culmina con un
« ex egi m onum entum a ere p erenn iu s
» stilato con emo
zione tangibile al termine del terzo e non ultimo dei suoi rifacimenti ma
noscritti.
Se si considerano gli elementi interni della trattazione balza agli oc
chi con evidenza quanto abbia ragione il Croce nell’affermare senza om
bra di dubbio che l ’autore è Vico. Aggiungiamo noi, ancora una volta, il
Vico del 1730-1731. Troppo richiamano il suo stile passaggi come quel
lo su «le Calipsi, le Circi, le Sirene, che sono i piaceri de’ sensi», o quel
lo su «la fierezza, ed immanità de’ Polifemi, che sono la ferocia, e l’or
goglio, i quali soglion’ esser vizj de’ G randi»10. E ancora più, risponde al
contenuto e alla lettera della
Scienza nuova
l’esaltazione della «Romana
Grandezza», consistente nell’essere stato il popolo romano «Giurecon
sulto del Gener’Umano; la cui professione porta di seguito necessaria
8
Epist.,
pp. 164-165.
9 B.
CROCE,
Una dedicatoria...,
cit., p. 224; Nicolini in G. V ico,
Opere,
cit., p. 936 n. e p.
937 n., dà indicazioni tra di loro contraddittorie.
10 G. Vico,
Opere,
cit., p. 936.