NOTE SULL’EDIZIONE CRITICA DELLA
SCIENZA NUOVA 1730
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per scontato l ’obbligo di non confondere e mescolare le varianti d ’auto­
re, che vanno edite nel senso della loro successione, le soluzioni poteva­
no essere due: o assorbire le quattro serie di «Correzioni miglioramenti
ed aggiunte» nel testo edito inizialmente, oppure non assemblarle, ma
destinarle a un’appendice. La soluzione adottata, che tiene distinte le
correzioni, non fa che rispettare la procedura voluta da Vico, che nel-
l’ed. 1730 fece stampare in coda le prime due serie di correzioni, dette
CMA l e CMA2.
In questo modo l ’editore moderno non si limita ad adeguarsi alle
procedure dell’autore, ma compie un’operazione che fa risaltare il mo­
vimento del pensiero, il lavorio, la drammatizzazione del testo, quanto
mai opportuna per una fase che, come ha sostenuto Franco Lanza, cor­
risponde al momento di massimo entusiasmo creativo. A smentire il te-
leologismo cui spesso indulgono gli studiosi di variantistica - un’aber­
razione cui non sfuggì nemmeno Mario Fubini, nel saggio
Dalla prima
alla seconda «Scienza nuova
» , fondato su un confronto stilistico tra la
prin cep s
del ’25 e l ’ultima versione del ’44, senza che la versione inter­
media del ’30 abbia una vera considerazione - , è la consistenza delle va­
rianti, che solo raramente sono di tipo sostitutivo, riguardanti gli erro­
ri materiali e poche modificazioni lessicali, mentre abbondano quegli
interventi che, con felice definizione, Antonio Garzya ha chiamato « au ­
toglosse», vale a dire interventi che chiariscono, integrano, approfon­
discono concettualmente un testo che comunque si continua ad accet­
tare.
Gli anni che precedono e che seguono di poco il 1730 sono insomma
quelli di massima creatività, che si spinge fino ad aggiungere
ex n o vo
in­
teri capitoli, quali i ragionamenti intorno alla legge delle XII Tavole e la
«Pratica di questa scienza», poi cassate nell’edizione finale, che segna la
fine delle autoglosse e la riduzione degli interventi alle sole revisioni di
varianti lessicali. Del resto, che Vico ritenesse di avere detto la parola de­
finitiva già intorno agli anni Trenta è provato da un appunto che com­
pare nelle CMA3: «Terminate la vigilia di Santo Agostino, / mio parti-
colar Protettore /
l ’anno
1731». Che questa edizione con le appendici
scrittevi a ridosso sia sentita da Vico come un congedo definitivo dalla
sua fatica è confermato da un’altra solenne citazione, tratta dal vangelo
di Luca, la stessa con la quale il vecchio Simeone, dopo avere visto Ge­
sù bambino, esclama «Nunc dimittis servum tuum, domine»
(Le.,
2 ,29 ),
pronto a lasciare questa vita terrena, al pari del vecchio Vico, che con la
Scienza nuova
sente di avere raggiunto lo scopo dell’intera sua esistenza.
E nell’ultima carta di questo fascicolo aggiuntivo fitto di quasi cento fac­
ciate giunge, prendendo a prestito un verso memorabile di Orazio, la la­
1...,139,140,141,142,143,144,145,146,147,148 150,151,152,153,154,155,156,157,158,159,...305