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ANDREA BATOSTINI
le maniere più corrotte del poetare moderno»
(Opere,
cit., p. 11). Ma evi­
dentemente non gli fu facile estinguere l’enfasi di quella poetica secente­
sca, dal momento che ancora nel 1730 si permetteva di scrivere che «in
tal densa n otte d i tenebre,
ond’è
coverta l'Antichità,
per questo
imm enso
Oceano d i dubbiezze
apparisce questo
lum e eterno,
che
non tramonta, di
questa verità,
che può servirci di
Cinosura,
onde giugniamo al desiderato
porto di questa Scienza» (Sn30,
169); o ancora che il
«Leggitore»,
dinanzi
alle tante assurdità della cronologia vulgata, « s ’accorgerà, essere tutti
p re­
giudizi oscuri,
e
scon ci
; e la lor
fantasia
esser’ un
co v ile
di
tanti mostri,
e la
lor
memoria
una
cimmeria grotta d i tante ten eb re» (Sn30,
168).
Messe in evidenza dal carattere corsivo, le ripetute metafore cadono
nel punto cruciale in cui Vico sta per formulare la piena consapevolezza
che la storia è conoscibile in quanto fatta dagli uomini. La scoperta è di
quelle che destano l ’entusiasmo più ardente, e se con il tempo questa ac­
censione si placa adagiandosi in forme più sobrie («in tal densa notte di
tenebre, ond’è coverta la prima da noi lontanissima Antichità, apparisce
questo lume eterno, che non tramonta, di questa Verità»; « s ’accorgerà,
che sono tutti luoghi di confusa
memoria,
tutte immagini di mal regola­
ta
fantasia,
e niun’essere parto d ’
in tendim en to», Sn44,
113), l’opera di
normalizzazione, nel guadagnare in efficacia, perde senza dubbio in ca­
lore, con l’effetto di raffreddare quella condizione che Arthur Lovejoy,
il fondatore della storia delle idee, ha chiamato «pathos metafisico», for­
se manifestato anche con una più insistita patina arcaica espressa da esi­
ti lessicali quali
«STATOVA»
(Sn30,
8 e 41), «beono» (256), «alliato» (313),
laddove nel ’44 Vico scriverà sempre «statua», «bevono», «alleato», ben­
ché sia attestato anche «allianze».
Inutile dire che uno studioso quale Cristofolini, per il quale la filolo­
gia rappresenta il libero esame della parola, conserva con assoluta fedeltà
le lezioni più obsolete, spingendosi a restituire perfino le maiuscole, i
corsivi e tutte le altre scelte grafiche e interpuntive che mai finora erano
state rispettate. Qualche lettore, a disagio di fronte a convenzioni di pun­
teggiatura anteriori a quelle divenute canoniche con
I P rom essi Sposi
manzoniani, potrà anche inalberarsi, considerando la rigida conserva­
zione un’inutile forma di feticismo editoriale. La ribellione sarebbe an­
che lecita se si trattasse di un’edizione corrente e commerciale, come
quelle edite a suo tempo da Laterza, Ricciardi, Rizzoli, Mondadori. Non
ha invece ragion d ’essere quando, come nel nostro caso,
La scienza nu o­
va
esce in una «Collana di elevato valore culturale», come recita una no­
ta paratestuale. In secondo luogo non avrebbe senso riprodurre mecca­
nicamente i caratteri della stampa 1730 se la loro scelta fosse soltanto un
vezzo dell’autore, o peggio un’idiosincrasia dello stampatore. Si dà in­
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